Oltre 1300 associazioni, 2400 docenti universitari e quasi 100 mila cittadine e cittadini da tutta Europa, hanno espresso il loro punto di vista. Il Premio Nobel per la Pace 2019, deve andare a Domenico (Mimmo) Lucano e al Comune di Riace in quanto simbolo ventennale di accoglienza solidale, di inclusione di condivisione.
La sala di gala riservata alla conferenza stampa in cui i promotori della candidatura hanno ospitato Mimmo era stracolma. Si era nella sede di Left, la testata che più di altre, oltre che lanciare la campagna, si è messa a disposizione per sostenerla, cogliendo la gravità del momento e a gestire la conferenza c’era Simona Maggiorelli, direttrice del settimanale, emozionata e orgogliosa del ruolo. E “il sindaco” è entrato provato ma sorridente, come accade a chi non si sente, ancora una volta, lasciato da solo.
Ormai la vicenda è nota: i quasi venti anni in cui un paesino remoto della Locride ha ripreso vita, fra rifugiati che trovavano pace e turisti solidali che entravano in un mondo fuori da ogni schema, sottratto alle leggi gelide del mercato, in cui il valore delle persone non poteva mai mettere in discussione quello delle persone.
Tre legislature da sindaco con i fondi governativi che giungevano perennemente in ritardo e le mille invenzioni per sopravvivere e far crescere il sogno, una scuola, le botteghe dei mestieri scomparsi, i fiocchi azzurri e rosa che spuntavano nei vicoli di case che riprendevano vita.
E il mondo che ci transitava, che si immergeva in odori nuovi, in schiamazzi e grida, in rumori di uomini e donne operose che restauravano un altro appartamento, spalancavano finestre, si sporgevano, fra il profumo delle ginestre guardando la bellezza del golfo di Squillace, la spiaggia ripulita e il mare azzurro.
Non era l’eden la Riace di “Città Futura”, la cooperativa lanciata da Mimmo per strutturare l’accoglienza e non era l’eden neanche quando da sindaco di strada e di spiaggia (come si è definito oggi, durante l’incontro con i giornalisti), doveva lottare insieme ad altri per non lasciare nessuno indietro.
Le prime minacce ad un progetto che sconvolgeva la logica affaristica e caritatevole dell’accoglienza, che era diventata simbolo in Europa, sono arrivate dal governo di centro sinistra, da quel ministro Minniti che oggi si scopre antirazzista ma nel frattempo andava a caccia di irregolarità formali nel lavoro a Riace voltandosi dall’altra parte quando affari d’oro venivano gestiti con l’avallo di chi era allora sottosegretario nella più assoluta opacità.
Ma oggi il salto operato con i gialloneri di governo è, come dice Mimmo Lucano tanto pesante fa far pensare ai tempi di Pinochet. Una discussione intensa e densa quella che c’è stata, con le pause e l’umanità trasparente ma profonda di un uomo oggi al centro di una vicenda immensa, simbolo di come (sono sempre sue parole) “questo paese stia precipitando nell’odio, nella tristezza, nella cattiveria”.
Una conferenza che è stata un alternarsi continuo di tristezza e gioia, sconforto e voglia di combattere, sconfitte e promesse di riscatto, un incontro vero forse poco telegenico, poco adeguato ai tempi veloci del mainstream e delle notizie divorate come in un Mc Donald, ma carico di quella cosa antica e irrinunciabile che chiamiamo e ci ostiniamo a chiamare passione civile e politica.
Come ha illustrato Simona Cataldi all’inizio, in rappresentanza del CISDA quella di oggi era una delle tappe, importanti e significative di un percorso che continua. Il 17 febbraio partirà da Napoli una ciclo carovana fino a Riace. I pedalatori attraverseranno la Costiera amalfitana, Salerno, Campania e Calabria per raccontare e incontrare chi prova a resistere.
I sostenitori hanno parlato di una manifestazione ad inizio marzo ma soprattutto di un concerto che si vuole tenere a Riace il 25 aprile, con artisti di livello nazionale perché chi è antirazzista e anche antifascista. E nel frattempo si attende da una parte il pronunciamento della Corte di Cassazione per permettere al sindaco di tornare nella sua dimora da cui è esiliato, dall’altra di far partire la fondazione “È stato il vento” con cui si intende far tornare vivo Riace, ridare una casa a richiedenti asilo e migranti, accogliere come quella terra continua a fare.
Si pensi a come, ventidue anni dopo il primo sbarco a Badolato, altra storia da riprendere, poche settimane fa a Torre Melissa si è ripetuta la stessa storia di sempre. Gente che arriva in spiaggia lacera e infreddolita e cittadini, non certo benestanti che si sono prodigati a coprirli, nutrirli, sistemarli nelle proprie case, senza diffidenza o paura.
Sono quelli gli anticorpi ad un salvinismo nato molto prima dell’attuale inquilino del Viminale, coltivato, come ha ricordato Mimmo Lucano, “negli stessi ambienti di chi ieri, mandava la gente a morire in Libia e oggi va sulle navi bloccate in mare come la Sea Watch per mostrarsi buono e solidale. O di chi votava leggi apripista come la Minniti Orlando”.
E malgrado la volontà di parlare a tutte/i Mimmo Lucano è stato e resta un partigiano. Fra le tante affermazioni una ha colpito i presenti. “Da noi la toponomastica si decide con l’accordo dei prefetti – raccontava sornione – in base ad una legge del 1928, in pieno periodo fascista. Io ho dedicato molte vie a uomini di sinistra che combattevano la ‘ndrangheta e le mafie, da Impastato a Valarioti.
Quando il prefetto mi ha contestato il fatto gli ho chiesto di indicarmi qualche uomo di destra che aveva combattuto la mafia. Non mi ha saputo rispondere”. Si sarebbe potuti andare avanti per ore ma gli impegni erano molti, ma ci si rivedrà presto, magari a Riace, dove in attesa del legittimo sindaco un artista peruviano ha dipinto un murales con il suo volto a dimostrare che Mimmo non se ne è andato.
E ci saranno elezioni a maggio a Riace, si faranno vincere i clan che molto probabilmente hanno trovato nell’uomo con la felpa e le divise il rassicurante futuro in cui continuare a fare affari o ci sarà un seguito al sogno concreto realizzato da Mimmo Lucano e da tanti altri? Si lavori per la seconda ipotesi, non restando a casa.