Lentamente – secondo gli accordi più o meno sotterranei tra Hamas e Israele con mediatori vari, Egitto in primis – la grande marcia va volgendo al termine. Niente più aquiloni o fastidiosi palloncini con la coda fiammeggiante, niente più tentativi di taglio simbolico della rete, meno folla lungo il border a gridare il diritto al ritorno e la fine dell’assedio. Qualche promessa lusinghiera e qualche leggero miglioramento delle condizioni di vita nella Striscia stanno accompagnando la chiusura della Grande marcia prevista per la fine del mese.
Ma i conti non vanno fatti solo con chi governa la Striscia, ma anche con lo zoccolo duro dei gazawi che nel rispetto dei numerosi martiri e dei numerosissimi invalidi colpiti in questi mesi non si fermeranno. Non si fermeranno pur sapendo che l’eventuale imposizione di Hamas sarà un serio problema che li porrà tra l’incudine di Israele e il martello della prigione gazawa per disobbedienza all’Autorità che governa la Striscia.
Intanto ancora oggi, con la parola d’ordine “ricordando la grande rivolta delle pietre“, la marcia è proseguita. Al momento si contano 33 feriti. I cecchini hanno sparato e colpito alle gambe e alla testa. Il Ministero della Salute comunica che un ragazzo a est di Khan Younis, ferito alla testa, è grave. E’ stato anche preso di mira un ospedale da campo con lancio di tear gas che hanno provocato diversi casi di intossicazione tra il personale sanitario. Tutti crimini di maggiore o minore intensità che seguiteranno a restare impuniti! Ma il “popolo delle tende” è ostinato e tornerà il prossimo venerdì. E ancora sotto un’unica bandiera, come simbolo del superamento delle divisioni interne.
L’insegnamento che “il popolo delle tende” seguita a dare è proprio in quel marciare sotto un’unica bandiera, la bandiera della Palestina, che oggi era presente in formato gigante al border a Nord, più o meno nell’area in cui ebbe inizio la Grande rivolta delle pietre, ovvero la prima intifada, iniziata a Jabalia l’8 dicembre del 1987 e di fatto stroncata 6 anni dopo dagli accordi di Oslo, la trappola tesa ad Arafat che seguita a produrre i suoi malefici effetti per i palestinesi tutti.
Saranno nuovi accordi a stroncare anche la Grande marcia rendendo vano il sacrificio di tanti martiri e di tanti invalidi? Questa domanda se la stanno ponendo i militanti del Coordinamento organizzatore delle manifestazioni e da quel che si sa non sembrano intenzionati ad abbandonare le loro rivendicazioni e, con esse, i martiri cui è stata rubata la vita, senza raggiungere l’obiettivo per cui hanno iniziato a marciare: la fine dell’assedio e il riconoscimento del Diritto al ritorno come sancito dall’Onu nel lontano dicembre del 1948.