Applausi liberatori hanno accolto nella tarda serata di sabato il Paris Rulebook, ovvero le linee guida approvate alla Cop24 a Katowice, in Polonia, per rendere operativo l’Accordo di Parigi, che fissa l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C rispetto ai livelli preindustriali, e di compiere tutti gli sforzi per restare sotto l’1.5°C.
Sebbene sia stato definito “robusto” dall’ONU, il libro delle regole che il mondo ha scritto per contenere l’aumento delle temperature non sembra in realtà particolarmente ambizioso. Il testo è frutto di un’enorme sforzo diplomatico, come dimostra il continuo spostamento in avanti della sessione finale, e non pare lasciare margini per un’effettiva revisione degli impegni presi, nonostante la comunità scientifica abbia più volte ripetuto che i contributi di riduzione definiti da ciascun Stato (i cosiddetti NDC) sono del tutto insufficienti a raggiungere l’obiettivo previsto dall’Accordo di Parigi. Questa l’opinione concorde di tutte le organizzazioni ecologiste presenti come osservatori a Katowice, che hanno seguito le due settimane di negoziazioni restando ben oltre la chiusura, inizialmente prevista per venerdì pomeriggio.
Il summit dell’Onu sul cambiamento climatico ha vissuto infatti momenti di forte stallo che hanno impedito di arrivare all’approvazione del testo finale entro i tempi stabiliti. La bozza di documento presentata giovedì notte lasciava ancora aperti molti punti di discussione, in particolare sulla finanza climatica e sui sistemi di monitoraggio e comunicazione degli impegni assunti da ciascun Paese per la riduzione delle emissioni. Così la fumata nera di venerdì sera, giorno in cui si sarebbero dovuti chiudere i lavori, ha destato non poca preoccupazione su un possibile fallimento dei negoziati.
Nel corso della Conferenza una fase di acceso dibattito è scaturita dalla contrarietà di Russia, Usa, Arabia Saudita e Kuwait nel “dare il benvenuto” al rapporto speciale dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, che in modo chiaro ha indicato la strada per evitare l’aumento delle temperature, ossia attraverso la riduzione del 45% delle emissioni di gas serra entro il 2035 e tramite l’azzeramento totale entro il 2050. Investire in tecnologie low carbon, rinunciare ai combustibili fossili, nuovi investimenti per le politiche energetiche e climatiche, passando per nuovi sistemi di trasporto e agricoli sono alcune delle azioni concrete da mettere in atto. Un cambiamento radicale, una precisa direzione politica che i big del petrolio hanno faticato ad accogliere, al massimo erano disposti a “prenderne nota”. I delegati di questi quattro Paesi hanno cercato dunque di ostacolare l’approvazione del testo finale, orientato a modificare le politiche energetiche degli Stati, e che dovrebbe portare i governi ad adottare misure efficaci per arrivare all’abbandono dei fossili. Uno scontro tutt’altro che terminologico. Proprio su questo punto, qualche giorno fa, durante una plenaria del vertice, Ralph Regenvanu, il Ministro degli esteri di Vanuatu, Stato insulare dell’Oceano Pacifico – uno dei Paesi più colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale – ha alzato la voce: “Si può recepire, annotare o vergognosamente ignorare completamente la scienza – ha dichiarato Regenvanu – resta il fatto che è catastrofico per l’umanità, e i negoziatori che bloccano un processo significativo in questo senso avranno molto sulla loro coscienza”.
Un altro nodo spigoloso, e al margine della negoziazione, è stato quello dei diritti umani. La società civile – rappresentata da attivisti, studenti, ONG, avvocati, leader delle comunità indigene – ha fatto molta pressione sui governi affinché i diritti umani fossero inseriti nel Rulebook e non restassero relegati nel preambolo dell’Accordo di Parigi. Lo stesso IPCC ha sottolineato che la lotta al cambiamento climatico va di pari passo con la costruzione di una società più sostenibile ed equa. Nelle linee guida adottate “sembrano però mancare elementi essenziali per rendere la transizione equa, giusta, inclusiva e per dare risposte ai più vulnerabili che purtroppo restano ancora poco tutelati”. E’ stato questo il commento della Réseau Action Climat, che raccoglie decine di associazioni ambientaliste secondo cui il documento non include i temi dei diritti umani, della sicurezza alimentare, dell’uguaglianza di genere. Inoltre, “benché 128 milioni di dollari siano stati promessi per il Fondo d’adattamento, le regole decise sono troppo poco stringenti per garantire che tali stanziamenti siano reali”. La questione dei finanziamenti resta cruciale per i Paesi in Via di Sviluppo che guardano con la lente di ingrandimento quelle che saranno le azioni dei Paesi più ricchi rispetto al Green Climate Fund. Il fondo globale per il clima è stato istituito per sostenere proprio i Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico in un percorso di sviluppo a emissioni ridotte e di resilienza. A Parigi gli Stati più ricchi si erano impegnati a versare 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2020. Ad oggi però il sito web del Fondo evidenzia solo un investito di 4,6 miliardi di dollari in 93 progetti.
Nei giorni scorsi allo Spodek, luogo dove si è svolto il vertice, la voce dei movimenti e delle Ong è cresciuta soprattutto alla vigilia della chiusura della Cop con incontri istituzionali, uno tra tutti quello avuto con il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres, il quale ha dato spazio alle associazioni giovanili e alle realtà gender. “I giovani hanno tutto il diritto di parola sul clima – ha dichiarato Guterres – perché il riscaldamento globale toccherà più loro che la mia generazione”. Negli ultimi giorni di negoziazione i corridoi dello Spodek sono stati teatro di azioni dimostrative e proteste pacifiche per sollecitare i governi a prendere decisioni e ad attuare le raccomandazioni della comunità scientifica. Venerdì mattina gli studenti polacchi, insieme alla fondazione Avaaz, hanno organizzato uno sciopero, un climate strike, all’entrata della Conferenza Onu. Un coro di ragazze e ragazzi ha cantato ai grandi della terra le preoccupazioni delle future generazioni per le sorti del pianeta. “Chiediamo di agire ora contro il climatechange. Non abbiamo altro tempo! Quello che verrà deciso qui a Katowice riguarderà il nostro futuro“. Queste le parole di Marta Palinska, giovane studentessa di Katowice.
Chiuso il sipario della Cop24, la valutazione finale non si discosta molto, purtroppo, dal bilancio di gran parte delle 23 Cop precedenti. Iniziata con grandi ambizioni, è proseguita tra scetticismo e confusione, per terminare con promesse vaghe e nessun accordo chiaro. Per il momento la strada che deve ricondurci a Parigi resta lastricata da carboni ardenti.
La prossima tappa del percorso che nel 2020 vedrà l’Accordo di Parigi subentrare al Protocollo di Kyoto è fissata per il 2019 in Cile, che ospiterà la COP25.
di Maria Marano e Alessandro Coltrè per A Sud da Katowice