L’inferno è lastricato di buone intenzioni, sentenziava San Bernardo di Chiaravalle intorno all’Anno Mille. Questo non significa che chi ha delle buone intenzioni finisca all’inferno. Altrimenti, seguendo la stessa logica e il medesimo credo, dove andrebbero a finire i malintenzionati? Questo antico proverbio mette in allerta le persone che hanno tante buone intenzioni e suggerisce loro di osservare come si traducono quelle buone intenzioni in fatti, come vengono recepite dagli altri, gli effetti che producono nel mondo. È quindi evidente che alluda al fatto che si possano compiere delle mostruosità anche se mossi da intenzioni benigne. Quante violenze sono state giustificate nell’educazione familiare e in quella scolastica con la formula: “lo faccio per il tuo bene!”. Quelle persone benintenzionate pensavano davvero che la traduzione del loro pensiero positivo fosse coerente ed efficace, così avevano fatto con loro i padri dei loro padri, forse.
Però la fine dell’anno porta inesorabilmente alla riflessione sugli eventi passati e sulle azioni compiute. Il ciclo annuale produce, nella maggior parte delle culture antiche e anche in quelle attuali, una delle principali festività che segna il passaggio del tempo per tutto e per tutti. Come una sorta di compleanno collettivo di esseri umani, animali, piante e tutti gli enti dell’universo. Forse per questo in epoche remote era anche l’occasione per ripercorrere in forma rituale la cosmogonia di quella cultura. Lo spirito si volgeva all’origine di tutto per rinnovare il racconto sacro e rigenerare la forza dell’universo per il futuro. I tre tempi: passato, presente e futuro, nel continuum eterno della vita.
Allora riflettiamo, fermiamoci un attimo a riflettere su come le nostre buone intenzioni dello scorso anno si sono tradotte in azioni e quali conseguenze hanno prodotto in quest’anno che sta per finire. Spendiamo un po’ di tempo per considerare il modo in cui abbiamo gestito la nostra esistenza in questo periodo, gli obiettivi che abbiamo raggiunto e i nostri fallimenti, gli eventi che ci hanno portato gioia e la sensazione di crescere e quelli che ci hanno fatto sentire inutili o sbagliati.
Potessimo fare questa operazione come collettività, come insiemi umani! Potessimo riconsiderare serenamente, in quanto popoli, le decisioni prese in un momento di rabbia o di sconforto, potessimo dichiarare con semplicità e franchezza gli abbagli presi, gli errori e i loro grossolani effetti senza difendere niente!
Però individualmente è possibile fare quel bilancio e, alla fine, proporsi dei miglioramenti o dei cambiamenti per l’anno nuovo. Proprio a questo servono gli “Auguri!” che tutti siamo abituati a inviarci con dovizia di decorazioni, ma che a volte hanno perso il loro significato.
Ed ecco apparire quelle buone intenzioni che, speriamo, non ci portino all’inferno!
L’augurio che mi faccio e che vi faccio per il prossimo anno è quello di riuscire a formare, con le persone che ci stanno intorno, delle comunità che, intenzionalmente, si possano dotare delle qualità che hanno più valore non solo a livello individuale. Cercare di relazionarci con gli altri a partire dalle nostre qualità riconosciute (quelle che ci fanno sentire bene e che producono effetti benefici anche sugli altri, per intenderci) è un proposito ragionevole e necessario di questi tempi. Un atto di necessario contrasto a una tendenza oggi di moda, che porta ad allontanare quell’io e quel tu che invece, secondo le culture originarie della nostra specie, coincidono.