Durante la prima conferenza dei giovani ricercatori d’Irlanda (IPRC 2018) tenutasi il 9 novembre alla Dublin City University, è intervenuta la parlamentare europea dei verdi Judith Sargentini, che nei mesi scorsi ha presentato il report sullo stato di diritto in Ungheria poi votato dalla maggioranza del Parlamento Europeo.
Le 7 mosse
La deputata olandese ha iniziato il suo intervento soffermandosi sulla pericolosità del populismo, che: “Suggerisce soluzioni molto semplici per problemi estremamente complessi”. I destini di un numero crescente di paesi risiedono nelle mani di uomini forti: dal presidente americano Donald Trump al neoeletto presidente brasiliano Jair Bolsonaro fino al premier ungherese Viktor Orbán. Tuttavia, prosegue Sargentini: “Sebbene il popolo aspiri a un cambiamento, non è detto che questo cambiamento debba passare per la soppressione di diritti fondamentali, la fine del pluralismo informativo e della libertà di ricerca accademica”.
Ripercorrendo le misure più preoccupanti dei governi Orbán in Ungheria dal 2010 a oggi, Sargentini ha elencato le 7 semplici mosse con cui è possibile uccidere una democrazia:
- Cambiare gli arbitri. Qui Sargentini ha fatto riferimento alla norma che ha richiesto il pensionamento forzato dei giudici costituzionali non in linea con la maggioranza di governo, pratica promossa recentemente anche dal governo polacco.
- Prendere il controllo dei media: non è difficile farlo se hai un amico d’infanzia con i mezzi finanziari per comprare i principali giornali del paese, come nel caso di Lajos Simicska.
- Presentare una storia attraente, come quella di una nazione oppressa bisognosa di rivincita.
- Creare un nemico: che siano Bruxelles, Soros o i migranti, i nemici impediscono alla nazione di esprimersi al suo massimo potenziale.
- Cambiare la legge elettorale, come accaduto nel 2012.
- Trovare attori istituzionali che sostengano la tua azione.
- Essere veloce: dal 2010 al 2018, Orbán ha trasformato l’Ungheria da democrazia europea a stato plebiscitario vicino all’autoritarismo.
Libertà accademica
Infine, ha concluso Sargentini, per fare in modo di restare al potere più a lungo possibile bisogna assicurarsi che non ci sia una possibile alternativa. Naturalmente, l’alternativa passa anche attraverso la libertà di ricerca universitaria. L’eurodeputata olandese ha spiegato come l’Ungheria abbia introdotto le figure di manager finanziari da affiancare ai rettori delle università per direzionare gli investimenti in ricerca negli ambiti più graditi al governo. Nella scrittura del suo report, Sargentini ha incontrato diversi professori dalle università ungheresi, ma non appena il suo report è stato reso noto, alcuni rettori le hanno inviato lettere in cui sostenevano di non averla mai incontrata. Sargentini ha interpretato queste lettere non come richieste di incontro, ma come una presa di distanza dal report. I rettori non volevano essere associati a lei in alcun modo, e questo, per Sargentini è un chiaro sintomo del clima di repressione vissuto nel paese.
Il professore della Central European University Mathias Möschel, giurista italiano specializzato in diritto costituzionale comparato, ha fatto eco alla Sargentini nel dibattito che è seguito: “Stiamo parlando di una storia più complessa”, ha detto Möschel. Il problema non risiede solo nella recente introduzione del bando agli studi di genere da parte del governo Orbán: “Sappiamo tutti quale sarà la prossima misura: vietare i diritti umani sostenendo che in Ungheria sono già ampiamente implementati. E il problema non è tanto per noi professori della CEU, che siamo tutto sommato in una posizione privilegiata. Il problema sorge per tutti i colleghi ungheresi che non avranno alternativa. Quello a cui assisteremo è un vero e proprio esilio scientifico”.