Da Kobane in queste ore arrivano video molto simili a quando la città siriana in mano ai curdi veniva attaccata da Isis. Questa volta però le bombe sono sganciate dalla Turchia, il secondo esercito della Nato. Dopo Afrin, Erdogan viola ancora una volta il diritto internazionale e bombarda i villaggi abitati dai civili. L’obiettivo è colpire l’esercito curdo YPG e YPJ, il primo che ha resistito, combattuto e vinto contro Daesh, sostenuto dalla coalizione internazionale.

Nei video postati dagli abitanti si vede il terreno saltare, si sentono le urla delle persone. Le stesse persone che da tre anni stanno pazientemente ricostruendo tutto ciò che lo Stato islamico aveva distrutto. Con Ivan Compasso Grozny, a giugno, siamo stati a Kobane. A 4 anni dalla devastazione di Isis abbiamo visto la rinascita di una città e della sua gente, dopo il sangue versato. Abbiamo visto muratori ricostruire case e quartieri. Abbiamo visto nuovi ospedali e nuove scuole nate anche grazie ai soldi raccolti dalle fondazione delle donne del Rojava in Germania, Austria, Svizzera, Olanda. Coi finanziamenti della provincia Trento è stato rifatta una scuola per i bimbi rimasti orfani perché Daesh ha ucciso i loro genitori: si chiama l’Arcobaleno di Aylan, il piccolo curdo trovato sulle rive del Bosforo in Turchia, simbolo del dramma dei popoli che sfuggono dalle guerre.

Abbiamo visto le strade tornare a vivere. Fino a mezzanotte donne, uomini, bambini insieme per respirare la libertà ritrovata.

Abbiamo visto il Cimitero dei martiri di Kobane: più di mille combattenti hanno dato la vita per liberare il mondo dal terrorismo di matrice islamista.

Abbiamo visto cosa è diventato concretamente il confederalismo democratico alla base l’organizzazione delle città del Rojava ispirato alle teorie socialiste del filosofo statunitense Murray Bookchin: una democrazia senza Stato, flessibile, multiculturale, anti-monopolistica; laicità, femminismo, ecologismo come pilastri. Abbiamo visto che non sono solo tensioni ideali, ma fatti concreti: la parità di genere e la laicità nel bel mezzo dell’estremismo religioso islamista, l’introduzione del matrimonio civile e l’abolizione della poligamia. Le donne hanno ruoli politici e militari, fanno parte delle forze di sicurezza e gestiscono l’organismo di polizia contro la violenza sessuale.

Abbiamo visto gli sforzi per arrivare a una convivenza pacifica a Mumbij, città multietnica in mano a Isis e liberata ad agosto 2016 dalle truppe del Free Syrian Army (FSA) appoggiate dagli americani. Un anno dopo libere elezioni in cui si è scelto di rappresentare tutte le identità: turcomanni, arabi, circasi, curdi. Quattro etnie, quattro identità, ognuna disegnata sulla bandiera, tutte presenti nell’Assemblea popolare votata dai cittadini. Per la prima volta il modello del confederalismo democratico è a partecipazione araba ed esce dal confine curdo.

Abbiamo visto l’istruzione tornare secolare, cioè laica, le scuole islamiche abolite nei territori riconquistati.

Ora la Turchia sta distruggendo tutto questo. Dopo il vertice di Istanbul tra Germania, Francia, Turchia e Russia, sono iniziati gli attacchi. “La Turchia ha bombardato le aree di confine di Kobane e del Rojava per quattro giorni davanti agli occhi di tutto il mondo – scrive UIKI, l’Ufficio Informazione Kurdistan in Italia – Né la coalizione internazionale contro ISIS né gli Stati che hanno partecipato al vertice di Istanbul hanno preso seriamente posizione contro questi attacchi o hanno condannato lo stato turco”, sottolineando il paradosso di attacchi contemporanei: quelli turchi nel Nord della Siria, quelli di ISIS contro il villaggio di Hejin nell’area di Dêir Er-Zor, uno dei suoi ultimi bastioni. Qui le forze democratiche siriane – con YPG e YPJ come elemento aggregante – continuano a combattere.

Per questo oggi dal Rojava arriva una chiamata d’emergenza all’Europa e all’Occidente. La copresidenza del KCDK-E ha emesso un comunicato in cui si legge: “Il Congresso europeo della Società democratica curda (KCDK-E) fa appello per un’azione urgente ai curdi e ai suoi sostenitori in Europa in seguito agli attacchi dello stato turco contro Kobane. L’esercito turco ha bombardato con armi pesanti i villaggi di Kor Eli e Selim e stanno progettando un massacro. Chiediamo a tutti di organizzare al più presto mobilitazioni a difesa e a sostegno di queste terre che sono costate il sangue di donne, giovani, bambini […]”

Noi come giornalisti abbiamo il dovere di non far passare sotto silenzio questa ennesima strage contraria a ogni norma di diritto internazionale.

STEFANIA BATTISTINI E IVAN GROZNY