Se una marcia nonviolenta seguita a fare morti e feriti solo dalla parte dei manifestanti, questo significa dalla parte opposta sono schierati degli assassini consapevoli del loro ruolo. L’altra parte è quella israeliana.
I feriti da arma da fuoco sono stati decine ed uno dei manifestanti è stato assassinato. E’ un triste ritornello che non fa più notizia. Non ne fanno le migliaia di morti di fame e di bombe nello Yemen figuriamoci se possono più farne il 230mo morto e qualche decina di feriti da aggiungere ai circa 22mila di questi mesi! Non fanno notizia gli yemeniti perché a ucciderli indirettamente ci pensiamo anche NOI, si proprio noi, gli italiani che vendono le armi all’Arabia Saudita che li sta massacrando. Non fanno notizia i morti palestinesi che nel 2018 sono al ritmo di uno ogni 27 ore. Non ne fanno perché l’ordine viene dal governo di uno Stato di cui NOI italiani, o meglio gli italiani che nostro malgrado ci rappresentano, sono amici.
La società civile si stanca di fare la conta dei morti, diventa routine, e i media, già così pigri rispetto a certe notizie, finiscono per non considerarle più tali e tacciono. E così il massacro prosegue indisturbato, insieme agli affari con l’Arabia Saudita o con Israele.
Ma Gaza, con i suoi venti o trentamila manifestanti che resistono a rischio della vita, è un osso duro e, come si fa con gli ossi duri, pare si stia cercando di ammorbidirla con “regalini” quali l’energia elettrica somministrata per molte più ore e aiuti finanziari consistenti che passano con il nullaosta di Israele. Oggi uno dei massimi leader di Hamas, Yahya Sinwar, ha smentito qualsiasi accordo con Israele per fermare la marcia finché non verranno raggiunti gli obiettivi per cui è iniziata. Ma i colloqui vanno comunque avanti con Egitto, Qatar e Nazioni Unite. Proprio il Qatar ha offerto nuovi importanti contributi finanziari per aiutare la popolazione stremata della Striscia, ma una brutta sorpresa ha accolto oggi il suo ambasciatore Mohammad Al Emadi, che si è presentato al border pensando di ricevere applausi e invece, a parte poche strette di mano, è stato ricevuto a pietrate dai manifestanti che hanno individuato nei suoi aiuti (15 milioni di dollari solo ieri fatti passare attraverso Israele) il tentativo di creare ulteriori separazioni tra i palestinesi e svuotare la marcia del suo significato iniziale vendendo il sangue dei martiri e rendendo inutile il loro sacrificio. Il convoglio dell’ambasciatore qatariota ha lasciato in fretta l’accampamento di Malaqa che gli ha riservato tale accoglienza e questo significa che anche Hamas dovrà tener conto, nelle sue trattative, che il popolo di “al awda” cioè della grande marcia del ritorno non intende essere venduto, né vendersi.
Non sappiamo se qualche media di massa renderà nota questa notizia e soprattutto come la renderà nota, perché un popolo affamato che rifiuta di essere comprato è un’indicazione forte, addirittura nobile e potrebbe sconvolgere tutti gli stereotipi che l’informazione main stream ha fornito dei resistenti gazawi e, soprattutto, potrebbe essere di esempio, e questo sarebbe pericoloso per qualunque potere.
Intanto negli ospedali della Striscia si curano i circa 40 feriti di oggi, tra i quali si contano 6 bambini, 9 donne e un paramedico e si spera di salvare la vita ad un giovane colpito al collo proprio come il giovane martire che verrà sepolto domani.
La “Striscia di Gaza non striscia”, diceva una azzeccato cartoon di qualche mese fa e non striscia perché una percentuale consistente dei suoi abitanti, di qualunque fazione politica, ha deciso di resistere. Resistere “come uomini degni di questo nome sulla terra o martiri sotto terra” è il motto che ho sentito ripetere lungo il confine da donne e uomini gazawi giovani, giovanissimi e meno giovani. Comunque andrà avanti la lotta, questa Grande marcia sta scrivendo una pagina di storia che forse un giorno, se ci sarà una Palestina libera, verrà studiata sui banchi di scuola.