Confermato l’ergastolo per 6 giornalisti in Turchia, tra cui Ahmet Altan, scrittore e giornalista, suo fratello Mehmet, economista e editorialista, e la veterana del giornalismo turco Nazlı Ilıcak, 75 anni.
La Corte di Appello del Tribunale penale di Istanbul al termine del processo che li vedeva accusati di “attentato all’ordine costituzionale” ha confermato il carcere a vita per loro tre più altri quattro imputati, il giornalista Şükrü Tuğrul Özşemgül, Fevzi Yazıcı, esperto designer, e Yakup Şimşek, art director, tutti collaboratori del quotidiano Zaman.
Tutti loro nessun’altra ‘colpa’ hanno se non quella di aver fatto il proprio mestiere.
Questo procedimento giudiziario è uno dei più importanti contro operatori dell’informazione e intellettuali turchi dopo il fallito colpo di Stato del 2016. Una sentenza attesa con preoccupazione anche all’estero, dove in questi mesi sono state lanciate numerose campagne a sostegno dei giornalisti incarcerati nella Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Articolo 21, che fa parte del board della campagna internazionale Free Turkey Media, segue da tempo con attenzione la china di repressione di ogni libertà di informazione nel Paese ed è stata tra gli osservatori del processo Cumhuriyet.
Ahmet e Mehmet Altan erano stati entrambi arrestati il 10 settembre 2016, mentre la Iliack e gli altri tre erano finiti in carcere nella prima retata del regime subito dopo lo sventato golpe.
Quella di oggi è una sentenza non solo contro i giornalisti accusati di essere collegati al tentativo di colpo di stato del 15 luglio 2016 ma tutto il giornalismo e il pensiero liberi. Come gli Altan e la Ilicak molti altri colleghi in attesa di giudizio rischiano di essere condannati al carcere a vita.
Utilizzando le parole di Ahmet Altan, scrittore di fama internazionale, l’unico romanziere in carcere in Europa, ci troviamo a cospetto di “un misero surrogato di atto d`accusa, privo non solo di intelligenza ma anche di rispetto per la legge e troppo debole per sostenere il peso immenso della condanna di ergastolo richiesta dal pubblico ministero”.
Imputazioni talmente paradossali che non meriterebbero neanche una difesa seria.
Giornalisti e intellettuali turchi sono accusati di aver inviato “messaggi subliminali” nei giorni precedenti al golpe per favorirne la riuscita.
A parte qualche articolo e un’apparizione in tv, come nel caso del processo Cumhuriyet che vedeva tra i 18 imputati il noto giornalista investigativo Ahmet Sik, condannato a oltre 7 anni di carcere come altri 12 colleghi, non c’è nulla che sostenga l’accusa di golpismo e di legami con gli uomini accusati di essere ideatori del push fallito.
Tutti noi non possiamo che essere, preoccupati e delusi. A nulla è valsa la sentenza della Corte Costituzionale che aveva disposto, all’inizio del 2018, la scarcerazione degli imputati perché erano stati violati i loro diritti umani.
Questa nuova sentenza conferma la morte dello stato di diritto in Turchia.
Tutti noi siamo chiamati a mobilitarci. Già il prossimo 6 ottobre, quando presenteremo nella sala stampa del Sacro Convento la Carta di Assisi su parole ostili e buone pratiche del giornalismo, ricorderemo la drammatica repressione della libertà di informazione nel paese e i sei colleghi condannati e insieme alla Federazione nazionale della stampa, sollecitiamo il sindacato internazionale a una grande mobilitazione europea.
Nessuno ha più alibi. Bisogna agire. Ora.