Norvegia: Trident Juncture arriva alla sua seconda, attesa edizione. Edizione col “botto”: la più grande esercitazione Nato dal 2002, la più grande e vicina alla nuova cortina di ferro che oggi si attesta a diretto contatto con la Russia. Dal 25 ottobre al 7 novembre scorrazzeranno infatti per le lande norvegesi e i mari e i cieli del Baltico 10.000 veicoli di vario genere, 150 aerei e 60 navi mentre sono attesi dai 40.000 ai 45.000 partecipanti da 30 nazioni diverse. Non stiamo parlando di una rumorosa parata di circostanza, ma di una abnorme manovra di addestramento per la Nato Response Force (NRF), il livello organizzativo più alto della nota alleanza che, a partire dal summit di Wales del 2014, sarà impiegabile per fronteggiare le “…emergenti sfide alla sicurezza messe in atto dalla Russa e provenienti dal Medio oriente e nord Africa…” (https://web.archive.org/web/20150414014221/http://www.aco.nato.int/page349011837.aspx).
“Emergenti sfide alla sicurezza” provenienti da regioni dove gli stessi alleati, dal lontano 1991, hanno promosso e partecipato a guerre devastanti (Iraq, Libia, Siria e Yemen) e messo in atto embarghi e genocidi.
“Emergenti sfide alla sicurezza” messe in atto dalla Russia, una superpotenza che ha visto, dal 1989 ad oggi, avvicinarsi le amichevoli truppe alleate a ridosso dei propri confini.
Un vero capolavoro di bipensiero orwelliano.
Trident Juncture 2018, al di là di ogni valutazione di carattere geopolitico, sarà una costosissima messa in scena della potenza militare “atlantica”. Non esistono dati ufficiali circa il costo complessivo di tutta l’operazione ma considerato il numero di mezzi e di uomini impiegato, la conseguente movimentazione e consumo dei materiali ed i mesi di preparazione varrà di certo qualche miliardo di euro.
Basti pensare che solo per allestire i 50 campi e contesti di esercitazione, alla Norvegia (o meglio ai fornitori norvegesi che entreranno nel business) verrà garantita la somma di 1.500.000.000 corone norvegesi (1.580.000.000 euro) per la fornitura di 35.000 letti, 1,8 milioni di pasti, 4,6 milioni di bottiglie d’acqua ed il lavaggio di 660.000 kg di biancheria.
Un bell’affare.
L’Italia del “cambiamento” non poteva certo mancare al prestigioso e qualificante appuntamento. Queste infatti sono occasioni irrinunciabili per testare il buon livello di professionalizzazione delle forze armate ed il loro ossequioso e costosissimo adeguamento agli alti standard tecnici ed organizzativi della Nato.
In prima linea avremo schierata la Brigata Ariete. La nota unità corazzata, i cui reparti sono stanziati principalmente in Friuli e con quartier generale a Pordenone, farà da contenitore operativo per i circa 1200 soldati rappresentanti il contingente italiano (https://www.difesa.it/SMD_/Eventi/Pagine/Trident_Juncture_2018_Forze_Armate_italiane_per_esercitazione_NATO.aspx).
Non solo, a dirigere tutta l’attività addestrativa di Trident Juncture 2018 sarà il Joint Force Command di Napoli nella persona dell’ammiraglio statunitense James G. Foggo. Come noto infatti i comandi dell’Alleanza atlantica sono da sempre occupati esclusivamente da generali o ammiragli a stelle e strisce.
In una conferenza stampa per la presentazione della grande manovra lo scorso giungo a Bruxelles, l’ammiraglio Foggo ha dichiarato candidamente che la “…Nato è un’alleanza difensiva. Non cerchiamo lo scontro ma siamo impegnati nella difesa e nella deterrenza. E’ tutto qui il senso di questa esercitazione: addestrare per difendere e per essere pronti a rispondere ad ogni minaccia proveniente da ogni direzione in ogni momento…” (https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_155866.htm).
Strana idea di “difesa” quella della Nato che dalla fine della guerra fredda, anziché autoestinguersi per obsolescenza, ha pensato bene di rilanciarsi nelle varie e devastanti guerre umanitarie, in una micidiale esportazione di “democrazia” e nella provocazione permanente verso il mai estinto orso russo.
Strana idea di sovranità quella espressa dall’attuale governo italiano che continua a mantenere un profilo servile e disciplinato nei confronti delle esigenze strategiche degli Stati uniti.
Forse più comprensibile risulta la scelta del governo del Paese ospitante: 1.580.000.000 di euro iniettati nel tessuto economico farebbero gola a chiunque.
Di certo la guerra fredda 2.0 è un grande volano per i fatturati delle industrie belliche europee e statunitensi che controllano oltre l’80% del mercato mondiale degli armamenti. E questo però non è bipensiero, è business.