I prigionieri condannati a morte devono essere trattati con umanità e dignità e detenuti in condizioni rispettose delle norme e degli standard internazionali sui diritti umani.
Lo ha dichiarato Amnesty International in occasione del 9 ottobre, Giornata mondiale contro la pena di morte. In questa occasione, l’organizzazione per i diritti umani ha lanciato una campagna su cinque paesi (Bielorussia, Ghana, Giappone, Iran e Malaysia) affinché i rispettivi governi pongano fine alle inumane condizioni detentive dei condannati a morte e assumano iniziative in favore dell’abolizione totale della pena capitale.
“A prescindere dal crimine che possa aver commesso, nessuno dovrebbe essere costretto a subire condizioni inumane di detenzione. Invece, in molti casi, i condannati a morte sono tenuti in rigido isolamento, vengono privati delle cure mediche di cui necessitano e vivono nella costante ansia di un’imminente esecuzione”, ha dichiarato Stephen Cockburn, vicedirettore del programma Temi globali di Amnesty International.
Il fatto che alcuni governi notifichino l’esecuzione ai prigionieri e ai loro familiari pochi giorni, se non addirittura pochi minuti prima, aggiunge crudeltà alla situazione”, ha aggiunto Cockburn.
“Tutti i governi che ancora mantengono la pena di morte dovrebbero abolirla immediatamente e porre fine alle drammatiche condizioni di detenzione che troppi condannati alla pena capitale sono costretti a subire”, ha proseguito Cockburn.
Amnesty International ha documentato condizioni detentive agghiaccianti in molti paesi del mondo ma la sua campagna si concentra su Bielorussia, Ghana, Giappone, Iran e Malaysia, dove la crudeltà del sistema della pena capitale è estrema.
In Ghana i condannati a morte denunciano che spesso non ricevono le cure mediche necessarie per curare malattie o disturbi di lunga durata.In Iran, Mohammad Reza Haddadi, nel braccio della morte da quando aveva 15 anni, ha dovuto subire la tortura di vedersi fissata e poi rinviata l’esecuzione almeno sei volte negli ultimi 14 anni.
Matsumoto Kenji, in Giappone, soffre di delirio molto probabilmente a causa del prolungato isolamento in cui trascorre l’attesa dell’esecuzione.
Hoo Yew Wah ha presentato una richiesta di clemenza alle autorità della Malaysia nel 2014 ed è ancora in attesa di una risposta.
Il clima di segretezza che circonda l’uso della pena di morte in Bielorussia fa sì che le esecuzioni non siano note all’opinione pubblica e vengano portate a termine senza alcuna comunicazione preventiva ai prigionieri, alle loro famiglie o agli avvocati.
Amnesty International si oppone sempre alla pena di morte, senza eccezione e a prescindere dalla natura o dalle circostanze del reato, dalla colpevolezza, dall’innocenza o da altre caratteristiche del condannato e dal metodo usato per eseguire le condanne a morte.
La pena di morte è una violazione del diritto alla vita, proclamato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. È l’estrema punizione crudele, inumana e degradante.
Nel 2017 Amnesty International ha registrato 993 esecuzioni in 23 paesi, il quattro per cento in meno rispetto al 2016 e il 39 per cento in meno rispetto al 2015. La maggior parte delle esecuzioni ha avuto luogo in Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan ma questo dato non tiene conto delle migliaia di esecuzioni avvenute in Cina, dove le informazioni sull’uso della pena di morte restano un segreto di stato.
L’appello da firmare per Mohammad Reza Haddadi è online all’indirizzo:
https://www.amnesty.it/appelli/salva-mohammad-condannato-alla-pena-morte-15-anni/