La nuova misura punitiva inflitta a Domenico Lucano, il divieto di risiedere nel Comune di Riace di cui è tuttora sindaco, mira a equipararlo di fatto a un pericoloso mafioso. La misura è infatti quella con cui in genere si cerca (inutilmente) di impedire ai mafiosi di tenersi in contatto con gli affiliati della stessa cosca.
Il caso Lucano si sta inoltre caratterizzando per una inedita accelerazione del giudizio di colpevolezza prima ancora dell’inizio del processo: si è aggirato il principio della presunzione di innocenza, riconosciuta dal nostro ordinamento fino al giudizio definitivo, mentre ancora non si è celebrata nemmeno la prima udienza. Domenico Lucano è stato prima messo agli arresti domiciliari e ora allontanato dal suo Comune, un confino come si applica appunta ai condannati mafiosi: eppure Mimmo Lucano non solo per ora è semplice indagato, ma le accuse riguardano presunte irregolarità la cui illiceità e rilevanza penale sono ancora tutta da accertare e che in ogni caso non giustificano queste misure cautelari.
Quello che gli si vuole impedire è di adoperarsi per tenere unita quella comunità di italiani e migranti che negli anni della sua sindacatura aveva fatto di Riace un esempio non solo di inclusione sociale, ma, proprio grazie alla presenza dei migranti, di rigenerazione di un paese e di un territorio altrimenti condannati al degrado e all’abbandono. Un esempio contagioso che è stato ripreso, con effetti sempre benefici, in molti altri comuni della Calabria e di tutto il paese.
Si vuole distruggere, con una serie di misure giudiziarie in cui è impossibile non ravvisare la consonanza politica con quelle anti-migranti adottate dall’attuale ministro degli interni come dal suo predecessore, l’idea stessa che italiani e migranti possano vivere insieme in sicurezza, come succedeva a Riace, e sempre meno in quasi tutto il resto del paese, e insieme riprendere il cammino della convivenza e della prosperità.
Le misure adottate contro Domenico Lucano mirano a disperdere i migranti che a Riace avevano trovato la loro casa e cominciato a ricostruire il loro futuro in quei centri di accoglienza straordinaria (CAS) e per richiedenti asilo (Cara), talvolta gestiti da vere e proprie organizzazioni criminali o malavitose, che altro non sono che pessimi dormitori dove si tengono gli ospiti in prigionia forzata per esibirli come “nullafacenti” a una popolazione di italiani che lavora duramente per campare, o per farli lavorare a pochi euro al giorno in aziende vicine. Il tutto in attesa di un diniego di qualsiasi forma di protezione, apertamente sollecitato da Salvini, che li metterà per strada come clandestini in attesa di un rimpatrio che non avverrà mai, o solo “in 80 anni”, come ha dovuto ammettere lo stesso ministro. Questa politica, apertamente contrapposta a quella dall’accoglienza che Riace ha dimostrato essere non solo possibile ma anche fruttuosa, non fa che creare nel paese quell’insicurezza che alimenta le fortune di chi promette di combatterla a suon di espulsioni che non avverranno mai.
Per questo difendere Domenico Lucano e l’esperienza di Riace e degli altri tanti Comuni che hanno imboccato la stessa strada è una battaglia per la sicurezza e il benessere di tutti.
Osservatorio Solidarietà sostiene quindi l’appello di Re.Co.Sol, la Rete dei Comuni Solidali, che chiede ai sindaci di riconoscere la cittadinanza onoraria a Lucano.