Il Kosovo accelera lungo la strada della costituzione di una sorta di “esercito regolare kosovaro”. E lo fa nel momento in cui riprende quota la discussione sulla fine della missione per l’amministrazione ad interim delle Nazioni Unite nella regione (UNMIK) e si moltiplicano le speculazioni su un possibile negoziato diretto tra le due capitali, Belgrado e Prishtina, per una soluzione della “controversia kosovara” basata sulla equazione della normalizzazione dei rapporti in cambio di uno scambio di territori. Uno scambio, tuttavia, per linee etniche, con il Nord della regione, a maggioranza serba, unito alla Serbia, e le provincie sud-orientali della Serbia, a maggioranza albanese, che potrebbero essere unite al Kosovo.
A dare nuovamente fuoco alle polveri, in una delle regioni più instabili, ed anche più povere, dell’intero continente, è la recente approvazione, da parte del parlamento kosovaro, di una legge che si propone di trasformare l’attuale forza di sicurezza del Kosovo, la cosiddetta KSF (Kosovo Security Force) in un vero e proprio esercito regolare, che dovrà essere formato a partire dal prossimo anno e dovrà essere composto, nelle intenzioni della legge e di chi la ha sostenuta, da 5.000 effettivi e 3.000 riservisti. A favore del provvedimento, in parlamento, hanno votato 98 su 120 deputati, che hanno così dato corpo ad uno dei progetti su cui maggiormente l’attuale quadro dirigente albanese kosovaro ha investito, a partire dal primo ministro, Ramush Haradinaj, già leader militare e tra i capi della guerriglia separatista dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) all’epoca del conflitto serbo-albanese nel Kosovo degli anni Novanta.
Si tratta di un progetto molto controverso e potenzialmente pericoloso per numerosi ordini di ragioni. Come è stato fatto già, da più parti, notare, questa iniziativa legislativa pare essere ampiamente incostituzionale, nel senso che viola i termini della costituzione dell’autogoverno kosovaro attualmente in vigore e, ovviamente, è del tutto contraria allo spirito e alla lettera della risoluzione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1244 del 1999, con la quale si pose fine alle ostilità armate nella regione, e si istituì, salvaguardando l’unità e l’integrità territoriale dell’allora Jugoslavia, oggi Serbia, un esteso auto-governo del Kosovo ed una missione di amministrazione ad interim (l’UNMIK) da parte delle Nazioni Unite.
Secondo la costituzione dell’autogoverno kosovaro, infatti, il Kosovo è tenuto a rispettare «gli accordi internazionali e il diritto internazionale» e a cooperare «con i corpi di sicurezza internazionali e le controparti regionali» (in base all’art. 125 comma 3) e, inoltre, «la Forza di Sicurezza del Kosovo (Kosovo Security Force) funge da forza di sicurezza nazionale per la Repubblica del Kosovo e può inviare proprio personale all’estero in piena conformità con le proprie responsabilità internazionali», garantendo la sicurezza del popolo e delle comunità del Kosovo «in base alle prescrizioni di legge» (in base all’art. 126 della costituzione). Sono questi aspetti che hanno mosso la critica, avanzata da più parti, nei confronti della forzatura contenuta all’interno della recente iniziativa legislativa, che sarebbe dovuta essere, quanto meno – anche attenendosi esclusivamente agli aspetti formali – preceduta da una modifica della costituzione.
Quanto al quadro di diritto internazionale, richiamato pure esplicitamente negli articoli sopra citati, non sarà inutile ricordare che la risoluzione 1244/1999, negli articoli 3 e 4 del secondo allegato, prevede il «dislocamento in Kosovo, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, di una presenza internazionale effettiva, civile e di sicurezza, conforme al Capo VII della Carta delle Nazioni Unite, al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi comuni […] e che tale presenza internazionale di sicurezza […] sia dislocata sotto un comando unificato e autorizzata a consolidare un ambiente di sicurezza per tutte le persone, in Kosovo, e al fine di facilitare il ritorno in sicurezza alle proprie case di tutti gli sfollati e i rifugiati».
Poco prima, la medesima risoluzione confermava «l’impegno di tutti gli Stati Membri al rispetto della sovranità e della integrità territoriale della Repubblica Federale di Jugoslavia [oggi, Serbia] e degli altri Stati della regione e […] l’impegno nei confronti di una sostanziale autonomia e di una effettiva auto-amministrazione («meaningful self-administration»)» per il Kosovo. Viceversa, sembra che Haradinaj abbia parlato, riferendosi all’istituzione di un Esercito per il Kosovo, di un «attributo imprescindibile per uno Stato autenticamente sovrano». Non sembra davvero questa la strada per una risoluzione positiva, politica e pacifica, della controversia kosovara.