In Bosnia ed Erzegovina abbiamo incontrato, nella recente visita dei campi di migranti della Balkan route, due ventenni di nome Greta e Cristiana. Rispettivamente Corpo Civile di Pace (CCP) e Servizio Civile Internazionale di Ipsia presso il girone infernale di Bihac. In verità avrebbero dovuto lavorare per un progetto ambientale nel paradiso dell’Una National Park ma l’emergenza della rotta balcanica li ha coinvolti nel campo di Borići (Đađki dom) dove stanno aiutando i volontari della Croce Rossa locale a distribuire quasi 850 pasti giorno, coperte, vestiti e scarpe. La strada da fare, infatti, è molta.
Ad un’ora da Bihac, ai confini con la Croazia, vi sono altre due giovani volontarie un po’ più attempate d’età; sui 30 anni. La prima spagnola e la seconda ceca. Hanno allestito un paio di bagni e di docce nel campo informale di Velika Kladuša a un chilomentro dal “camping”. Parlano un ottimo inglese e si pre-occupano di garantire vestiti pesanti per l’inverno che sta arrivando ai giovani maschi migranti che lo frequentano. A volte rimangono intrappolate dentro la violenza che è tipica delle aree degradate, confinate, dimenticate e abitate solo da disperati che non ricevono cibo da giorni dalle organizzazioni internazionali e che si contendono il poco che c’è. Ma le volontarie, anch’esse informali come i campi, ci sono; e fanno ciò che possono. Compreso salutare e incoraggiare chi tenta il “game”, l’attraversata del confine con l’Europa tra campi minati (ricordo della guerra ’92-’95) e accogliere, il giorno dopo, chi è stato beccato, battuto, violentato, rispedito indietro e con una certa vergogna chiede di essere riammesso al campo: in media 3 su 4.
Le volontarie danno una mano a ricostruire il campo di Velika Kladuša con tende improvvisate in nylon ogni volta che piove in quanto le tende anti pioggia dell’ UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) sono montate nel centro del paese. Vuote. Un conflitto tra diritto municipale e internazionale vede quest’ultimo arrendersi davanti a rimostranze della popolazione e del sindaco. Siamo a nord di Riace.
Lasciamo l’altipiano per scendere in vallata. Ai piedi del bellissimo Castello di Ostrožac, c’è un vecchio albergo Hotel Sedra di stampo socialista che accoglie 500 rifugiati; spesso famiglie o donne con bambini. Le valutazioni di tripadvisor lo definiscono “pessimo” ma per i rifugiati è un 5 stelle. Ci accoglie una febbricitante Giovanna ex CCP ed ora team leader di IOM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) con l’incarico di gestire l’albergo. Questo, infatti, viene rifornito quotidianamente di acqua potabile in quanto, pur essendo ai bordi del fiume Una, ha problemi alle condotte. Le famiglie hanno diritto ad una stanza che viene loro riservata per 72 ore quando tentano il “game”. La maggioranza torna sui propri passi.
Nel giorno del nostro arrivo sono stati/e nominati/e i responsabili di piano del grande albergo. In primis, infatti, vanno rispettate le regole come pulizia, orari silenzio, code, prevenzione incendi. Lo IOM, organizzazione delle Nazioni Unite, recluta i volontari dalle ong (organizzazioni non goverantive) con una certa facilità e senza adeguata formazione li carica di responsabilità e li impiega in progetti importanti. Vi sono dei corsi on line per sopperire e vi saranno dei follow up più avanti. Emergenza è emergenza.
Lasciamo la Bosnia e andiamo in Serbia. Nel campo di Bogovadja condotto dalla Caritas Valjevo. Siamo ad un’ora da Belgrado. Qui fanno “servizio civile” Andrea e Fortunato. Il campo è tutt’altra cosa dalla Bosnia in quanto c’è una struttura dignitosa da un lato e un governo centrale che ha trasformato l’emergenza e l’informalità in servizio ordinato.
Ma, anche qui, la speranza è diventata apatia. I giovani migranti vivono la giornata e non hanno futuro. Nè in patria e né in Europa. Si tentano, quindi, alcune attività come la gestione di un social caffè, alcuni prerequisiti lavorativi per dare qualche competenza in più per chi vuole fare il parrucchiere, il cameriere, il segretario destreggiandosi con il computer o il falegname. Spendiamo due righe per la falegnameria che è stata allestita da una task force (delta force) di migranti con l’aiuto di un maestro artigiano locale (in foto mentre dona il logo di delta force al presidente di Ipsia Montalbetti). Tutta la mobilia esterna del social caffè è stata fatta in questa falegnameria allocata in una tenda. Bancali che diventano mobili. Insomma, attività occupazionali per dare risposte diverse all’unica domanda: “come faccio a passare la frontiera?” Quasi un’ossessione che si calma solo d’inverno perchè, per dirla con Silvia Maraone, sin tanto che vi sono foglie sugli alberi si tenta l’Europa, ma quando scende la neve ci si chiude nel campo e in se stessi.
E’ la prossimità che rende i nostri giovani volontari importanti. Il dire con la loro presenza ai loro coetanei che provengono da Siria, Afghanistan e Iraq: “non siete soli” nonostante i balcani siano la terra di mezzo tra i tuoni dei cannoni e gli echi razzisti e rabbiosi della vecchia Europa.
Good news. Il campo di Bogovadja esplode di gioia con l’arrivo in estate e in inverno dei giovani di Terre e libertà che vanno animare i ragazzi del campo per alcune settimane assieme ai giovani del paese di Bogovadja. Coloratissime e contagiose iniezioni di energia e positività. Sono 20 anni che decine di giovani da tutta Italia vanno nei Balcani e in Africa a fare animazione affatto facili. Mi raccomando, non ditelo a nessuno; non sia mai che qualcuno voglia sostenere il loro entusiasmo. Da questo campo partì anche Madina, la bimba che non fece più ritorno; portata via da un treno mentre fuggiva dalla polizia croata.
Arriviamo a Belgrado. Gli operatori che animano il campo di baracche di Krnjača alla periferia della capitale ci narrano che un tempo i giovani siriani erano educatissimi; discernevano i vestiti donati ed utilizzavano solo ciò che consumavano. Ringraziavano per ogni cosa. Ora, dopo diversi anni di guerra nel disinteresse totale della comunità internazionale verso il loro paese, i giovanissimi siriani sono tra i più maleducati. Insomma, i teenagers ben rappresentano le guerre che stanno devastando i paesi di provenienza. Ciò complica non poco renderli partecipi in attività di cucina e pulizia dotandoli di strumenti contundenti. Nei campi infatti, ove si è costretti all’ozio, le rivalità su base religiosa ed etnica, si acuiscono e i nostri giovani volontari hanno un bel da fare nell’inventare sempre nuove attività occupazionali come i corsi di lingua che impegnino i migranti.
Certo, parliamo di casi rari e isolati che non tolgono nulla ad una delle migrazioni nonviolente più importanti della storia recente. Prima le donne e i bambini. Anche questa è una regola che viene imposta durante le redistribuzioni ai giovani uomini che provengono da culture altre… e che ne farebbero volentieri a meno.
L’ultimo rapporto dello IOM (Organizzazione Internazionale Migrazioni) c’informa che i barconi della rotta balcanica (Mediterraneo orientale) hanno superato quelli della rotta del Mediterraneo centro-occidentale; insomma il numero di migranti che arriva dalla Grecia è maggiore di chi arriva nelle nostre coste. Ciò significa che avremmo sempre più bisogno di giovani e “diversamente giovani” europei pronti ad impegnarsi, in silenzio, da Salonicco a Bihac; nella terra di mezzo. Non mancano e non mancheranno. E questo fa ben sperare!
di Fabio Pipinato