La notizia che mai avremmo voluto riportare e commentare è purtroppo li, nitida e pesante come i caratteri delle parole della sentenza scritta oggi dalla Corte per i reati minori di Maadi, in Egitto, che ha condannato a 2 anni di prigione l’attivista Amal Fathy, moglie di Mohamed Lotfy, direttore esecutivo della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecfr), organizzazione non governativa a cui appartengono i consulenti legali della famiglia di Giulio Regeni, il ricercatore friulano ritrovato morto al Cairo il 3 febbraio del 2016. La donna, mamma di un bambino di 3 anni, è stata dichiarata colpevole nel processo che l’ha vista imputata per diffamazione nei confronti della Banca Misr e del suo staff. Ad annunciarlo il legale della giovane, Doaa Mustafa, in una nota sul suo profilo Facebook. La Corte ha ordinato inoltre il pagamento di due differenti ammende una di 561 dollari e l’altra di 1.122 dollari.
“Un vero e proprio oltraggio alla giustizia – è stato il primo commento di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia – Siamo al paradosso: una persona che ha subito e denunciato molestie sessuali viene condannata e chi ne è stato l’autore resta in libertà. Amal Fathy sta dalla parte dei diritti umani. Non è una criminale e non dovrebbe essere punita per il suo coraggio“ ha aggiunto.
E non è ancora finita. Purtroppo si tratta solo della sentenza del processo minore. Amal, che ha già trascorso 141 giorni in prigione, si ritrova per ora con una condanna, seppur con pena sospesa, a 2 anni di carcere, ma rischia un verdetto ancor più pesante il prossimo 14 ottobre quando comparirà davanti a un giudice per rispondere delle accuse di “appartenenza a un gruppo terroristico”, “diffusione di idee che incitano ad atti di terrorismo” e “pubblicazione di notizie false”.
Uno sproposito se si pensa che la sola ‘colpa’ di questa giovane attivista è di aver postato su Facebook un video in cui denunciava le molestie sessuali subite e criticava le istituzioni egiziane per la mancata protezione delle donne.
Amnesty International ha subito rinnovato al governo egiziano la richiesta di rilasciare senza condizioni Amal Fathy e di annullare tutte le imputazioni nei suoi confronti.
“Il fatto che sia finita in carcere solo per aver espresso pacificamente le sue opinioni è un affronto alla libertà d’espressione garantita dalla Costituzione egiziana e dagli obblighi internazionali sui diritti umani dell’Egitto e fa suonare beffarde le ripetute promesse delle autorità del Cairo di combattere le molestie sessuali” si legge in una nota diffusa a livello internazionale.
Amal ‘paga’ anche per essere la moglie di Mohamed Lotfy, ex ricercatore di Amnesty e tra i consulenti che forniscono assistenza legale in Egitto alla famiglia Regeni. Lotfy, prelevato dalla polizia insieme alla moglie e il loro figlio di tre anni all’alba dell’11 maggio dalla loro casa, è tornato libero grazie al doppio passaporto, egiziano – svizzero.
Amal, invece, è rimasta in cella per tutto il tempo. Per lei il 14 ottobre, come ogni 14 del mese, la scorta mediatica di Articolo 21 e Fnsi che rinnovano puntualmente richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni, si attiverà per chiedere anche la sua liberazione.
Ed è facile immaginare che tutto il popolo giallo del collettivo ‘Giulio siamo noi’, che mesi fa ha raccolto l’appello di Paola Deffendi, mamma di Giulio, a non lasciare sola Amal, sia pronto a riprendere lo sciopero della fame per far sentire il proprio sostegno e la massima vicinanza alla giovane attivista che sta pagando caro il suo coraggio di opporsi al regime di Al Sisi.