“Lasciateci il nostro Afghanistan”. Il messaggio dei pacifisti afgani in marcia da Helmand fino a Mazar e Sharif per i pacifisti italiani della Perugia Assisi.
Oggi a Perugia, nell’ambito dei seminari che si tengono alla vigilia della Marcia della pace Perugia Assisi, e a Ferrara, al Festival di Internazionale – all’angolo di Msf – viene divulgato un messaggio dei marciatori afgani che, a partire dal maggio scorso, hanno percorso 700 km a piedi da Lashkargah nel Sud sino a Kabul, dove sono arrivati in giugno per poi proseguire sino a Mazar-e-Sharif nel Nord.
La marcia, autorganizzata e accolta con favore nei territori attraversati, chiede il cessate il fuoco immediato a tutte le parti in conflitto. In occasione della Perugia Assisi i marciatori hanno affidato ad “Afgana” un loro messaggio per chi vuole la pace in Afghanistan in Italia e in Europa. Eccolo
Dopo l’11 settembre 2001 gli Americani e i loro alleati hanno deciso di combattere il terrorismo e dal 2003 i talebani sono stati sconfitti e con loro il terrorismo. Tutti dovevano quindi rientrare a casa. Ma il processo politico non e` finito e l’Occidente ha permesso la riorganizzazione dei talebani con l`aiuto dei pachistani attraverso la riorganizzazione di campi e consentendo alla guerriglia di sopravvivere. E’ ricominciata una guerra sanguinosa che uccide migliaia di persone innocenti. Una guerra tuttora in corso.
Il processo di ricostruzione e sviluppo economico sono bloccati ed è ricominciata l`emigrazione e la fuga degli afgani dal nostro Paese. La coltivazione dell’oppio è cresciuta sotto un governo debole e corrotto che non ha nessun sostegno dalla popolazione e in questo modo i talebani hanno potuto crescere e conquistare villaggi e distretti. Poi è arrivato anche l`Isis che ha dato una scusa all’Occidente per rimanere in Afghanistan. Alcuni vogliono che l`Afghanistan diventi un campo di battaglia permanente e senza futuro come la Siria. Tutto ciò per giustificare la loro presenza.
Noi afgani siamo stanchi e non possiamo più sopportare il peso della guerra. Non ce la facciamo più. Chiediamo a tutti gli italiani e agli europei di aiutarci e mettere sotto pressione Nato e americani che non devono permettere la riorganizzazione della guerriglia e devono lasciare a noi come esseri umani il diritto di vivere in pace e avere un governo che sia scelto solo dagli afgani altrimenti questa situazione continuerà. E continuerà a coinvolgere anche tutti voi occidentali.
L’Associazione di promozione sociale “Afgana”, con sede a Levico Terme (Tn) ed erede della Rete Afgana – soggetto informale nato nella società civile italiana nel 2007 – ha continuato a svolgere in questi anni attività di ricerca e sostegno a favore dell’associazionismo indipendente dell’Afghanistan. Il taglio del contributo pubblico ad attività della società civile italiana in Afghanistan ha rallentato il nostro lavoro ma non ci ha impedito di continuare a tenere un legame con l’associazionismo locale, sempre più sotto tiro, sia da parte della guerriglia sia da parte del governo per il suo ruolo insostituibile di soggetto critico e indipendente. In Italia “Afgana” cerca di tener viva – con articoli, conferenze, convegni – la memoria di un conflitto sul quale i riflettori della cronaca si sono attenuati e che continua però a mietere ogni anno più vittime civili (1692 morti e 3.430 feriti nei primi sei mesi del 2018 secondo l’Onu) con un aumento dell’attività militare sopratutto in termini di raid aerei.
Facendo proprio il messaggio che i “marciatori a piedi nudi” afgani hanno rivolto ai marciatori della Marcia Perugia Assisi per il 7 ottobre, Afgana chiede una revisione della politica italiana in Afghanistan, l’inizio e un calendario del ritiro delle nostre truppe come segnale inequivocabile che il nostro Paese è favorevole, non solo a parole, al processo negoziale interafgano. Il che non deve impedire al nostro governo di lavorare in sede multilaterale per sostenere la popolazione civile, la tutela dei diritti umani, il diritto alla salute, all’istruzione e al lavoro di donne e uomini. Afgana è inoltre favorevole alla riconversione della spesa militare in Afghanistan (185.343.173 milioni nel 2018) in un aumento dell’investimento in cooperazione civile (nel 2018 di soli 20 milioni).
Afgana auspica infine che il governo italiano riveda interamente la sua strategia di “missioni di pace” all’estero e che si impegni per un rafforzamento, anche dal punto di vista militare, delle operazioni di interposizione sotto la bandiera delle Nazioni Unite.