Milano doveva essere l’anti Salvini, l’unico luogo in grado non solo di resistere all’ondata gialloverde, ma di delineare un’alternativa credibile, moderna, includente e vincente. La narrazione l’ha proposta il Sindaco Sala in prima persona e dal palco del Pride di fine giugno l’ha consegnata a una piazza strapiena. Diciamoci la verità, al netto della nostra avversione verso la sua logica tutta business e grandi eventi, la cosa non ci era poi dispiaciuta più di tanto, anzi, aveva persino qualcosa si rassicurante. Peraltro, facevano notare alcuni, a Milano sulla questione migranti c’era un Majorino, che non era proprio la stessa cosa di Minniti, sull’antifascismo al Sindaco era sfuggito addirittura un “militante” e gli spazi sociali non sembravano rientrare tra i bersagli comunali.
Ma poi qualcosa è cominciato a cambiare rispetto a questa immagine liberal. Avevano, infatti, stupito le dichiarazioni dell’Assessore alla sicurezza, nonché Vicesindaco, Anna Scavuzzo, il giorno dello sgombero del Lambretta e non perché il Comune c’entrasse qualcosa con la decisione dello sgombero (ordinato dal magistrato), ma per i toni insolitamente aridi per gli standard dell’amministrazione milanese. Toni che poi sarebbero riecheggiati qua e là qualche settimana più tardi nella vicenda di Aldo dice 26×1.
Purtroppo, però, non era soltanto questione di toni e in questi giorni è arrivata la tegola dell’annuncio della privatizzazione, della vendita e, dunque, dello sgombero (“soft”, per carità) di Macao. E poiché a volte il metodo è anche merito, la tegola non consiste soltanto nella decisione di sgomberare, ma anche nel modo in cui la decisione è stata comunicata, cioè per mezzo di una dichiarazione dell’assessore Tasca al Corriere della Sera. E non è che le successive dichiarazioni a Radio Popolare da parte dell’assessore Del Corno, tutte incentrate sulla questione legalità/illegalità, abbiano migliorato la situazione, anzi.
E pensare che Macao era lo spazio sociale milanese che si era esposto più di chiunque altro nel dialogo con l’amministrazione comunale, spingendosi fino a mettere a disposizione le proprie competenze e collaborare a una proposta di delibera comunale sugli spazi, che poi effettivamente vide la luce, anche se rimase nel cassetto. Il dialogo non si era mai fermato, da Pisapia a Sala. Chi oggi critica gli accenti forti della presa di posizione di Macao dovrebbe ricordarsi di questa storia, perché il meno che si possa dire è che la Giunta sia stata profondamente sleale.
E se proprio non vogliamo farci mancare nulla, va ricordato che proprio oggi dalle pagine del Corriere la proprietà dello stabile che ospita lo storico Leoncavallo dichiara che le trattative con il Comune sono in fase di stallo e che non esclude di denunciare Comune e Stato per la mancata esecuzione dello sfratto.
Certo, il mondo è complicato, ci sono i vincoli delle pubbliche amministrazioni e ci sono i bilanci da tenere in ordine, ma c’è anche la politica, nel senso più alto della parola. E qui è mancato il coraggio o forse semplicemente una visione di futuro indipendente. Insomma, la sensazione è che in Comune abbiano deciso di arretrare, di non resistere a Salvini su alcuni terreni, come quello delle “occupazioni abusive”, che è poi quel termine generico e micidiale che confonde tutto, chi delinque con chi lotta, chi ruba l’appartamento alla vecchietta in sua assenza con chi occupa un un’abitazione tenuta vuota per anni da quanti per legge avrebbero il dovere di assegnarla, chi si appropria di un capannone per organizzare i suoi traffici con chi riempie di autogestione, attività e vita gli spazi abbandonati dalla speculazione.
La vita insegna che quando si comincia a cedere, arretrare e volgere le spalle, allora si sa dove si inizia, ma non dove si finisce. Spero dunque di sbagliarmi e di essere smentito.
Nel frattempo però, visti i tempi che corrono, dovremmo metterci in fretta in sintonia con lo stato delle cose. L’autunno è già cominciato.