In occasione della Giornata internazionale della Pace la Comunità di Sant’Egidio lancia un appello agli Stati e agli organismi internazionali, perché vengano moltiplicati gli sforzi di mediazione per fermare gli oltre 30 conflitti attualmente in corso nel mondo. Siamo di fronte a situazioni in molti casi irrisolte proprio per l’inerzia o, peggio, la determinazione a non chiudere guerre vergognosamente lunghe. Il caso della Siria parla per tutti: un conflitto che dura da più anni della seconda guerra mondiale e che ha già provocato oltre mezzo milione di vittime, quasi sei milioni di rifugiati e quasi sette di sfollati interni. Ma ci sono tante altre situazioni in cui basterebbe più volontà a intervenire e meno interessi di parte (economici, politici e strategici) per arrivare a negoziati efficaci.
Occorre ricordare che nessuno trae beneficio dai conflitti, solo i trafficanti di armi e chi prospera nell’instabilità. La guerra, grande o piccola che sia, si lascia dietro ferite e distruzioni che necessitano decenni per essere sanate. La Comunità di Sant’Egidio, nel cinquantesimo della sua nascita, rinnova con forza il suo impegno a intervenire per giungere ad accordi di pace, là dove viene chiamata a farlo o là dove individua anche un minimo spiraglio per portare il suo contributo di cristiani che non si rassegnano di fronte ai conflitti e alla violenza.
A partire dai Paesi dove sta già operando per la pace come Centrafrica, Sud Sudan o Libia, solo per citarne alcuni.I corridoi umanitari – realizzati da Sant’Egidio insieme alle Chiese protestanti, alla Conferenza episcopale italiana e ad altre realtà – in oltre due anni sono già riusciti ad accogliere e integrare duemila rifugiati in Europa. Sono anch’essi un’opera di pace che invita ad affrontare in modo adeguato il dramma degli oltre 68 milioni di profughi esistenti oggi nel mondo, frutto amaro di guerre ma anche di disastri ambientali e discriminazioni.
Fonte: Fidest