Chiusura dei porti italiani e maltesi, divieto di trasferimento dei migranti, criminalizzazione della solidarietà, manipolazione dell’informazione. Come reagire a tutto questo? Ne parliamo con Riccardo Gatti, comandante dell’Astral e capomissione della Open Arms, le navi della Ong spagnola Proactiva Open Arms.
Dove si trovano in questo momento le navi di Proactiva Open Arms?
Sia l’Astral che l’Open Arms sono ferme nel porto di Barcellona. Negli ultimi tempi la situazione è cambiata radicalmente: con la chiusura dei porti italiani e maltesi e il divieto non solo di sbarco, ma anche di trasferimento dei migranti salvati in mare su navi più grandi delle nostre, siamo stati costretti a lasciare temporaneamente il Mediterraneo centrale. L’Open Arms è un ex rimorchiatore e l’Astral un veliero: nonostante abbiano salvato migliaia di persone, sono piccole e non hanno le condizioni per restare in mare giorni e giorni, soprattutto ora con l’avvicinarsi dell’autunno. Il rischio per le persone sarebbe troppo grosso. Prima bisognava attendere al massimo 1/2 giorni per sbarcare, ora ce ne vogliono anche 10. Questo è il risultato della feroce campagna contro le ONG: sono riusciti a cacciarci tutti dalla zona di ricerca e salvataggio e hanno chiuso i porti perfino per la Guardia Costiera italiana.
Sospendendo temporaneamente le operazioni nel Mediterraneo centrale non potremo più svolgere la nostra funzione di testimonianza e denuncia di quello che avviene con i migranti in mare e nei centri di detenzione libici. Siamo certi che anche in questi giorni molte persone stanno partendo dalla Libia e senza navi a soccorrerle chissà quante di loro moriranno.
In questa situazione il flusso degli arrivi in Spagna è aumentato. Mesi fa avevamo proposto al governo spagnolo di appoggiare le loro operazioni di soccorso, ma in quel momento ci avevano risposto che non ce n’era bisogno. Ora invece hanno accettato la nostra offerta e noi contiamo di partire al più presto possibile: l’Open Arms si dirigerà verso lo Stretto di Gibilterra e l’Astral andrà nel Mediterraneo centrale per continuare le operazioni di denuncia e osservazione delle violazioni dei diritti umani in mare.
In ogni caso non ci arrendiamo: siamo in contatto con altre Ong per trovare forme di collaborazione e appoggio reciproco e cerchiamo una soluzione per poter tornare a operare anche nel Mediterraneo centrale.
Come possono aiutarvi le persone e le organizzazioni che credono nella solidarietà e nei diritti umani e il giornalismo indipendente?
Una prima forma di aiuto, molto concreta, viene dalle donazioni di cui abbiamo bisogno per sopravvivere e che per fortuna non si sono fermate.
Un altro punto fondamentale riguarda la diffusione di un’informazione corretta, che si contrapponga all’enorme manipolazione dei dati reali, alle fake news e alla campagna mediatica contro le Ong cominciata due anni fa. Ormai si sa cosa succede in Libia, come sta la gente che riesce a sopravvivere al viaggio, ai campi di detenzione e alla traversata in mare; bisogna continuare a denunciare tutto questo e a opporsi ai dilaganti discorsi xenofobi e razzisti.
Infine lancio un appello per una maggiore presenza di giornalisti, parlamentari e personaggi dello spettacolo sulle nostre navi. Già diversi ci hanno accompagnato nelle ultime missioni e le possibilità di testimonianza e denuncia offerte dalla loro notorietà possono dare un grande contributo per far conoscere la situazione reale e dare voce ai migranti e ai volontari.
Come vi siete sentiti, man mano che è aumentata la criminalizzazione della solidarietà, con le inchieste e i sequestri delle navi, le campagne di discredito e i violenti attacchi del governo italiano?
Sapevamo fin dall’inizio che quelle contro di noi erano tutte bugie, accuse ridicole e pericolose e questo ci ha dato sicurezza, ci ha aiutato ad andare avanti senza perdere energia ascoltando per esempio Di Maio che ci definiva “taxi del mare”. Inoltre sappiamo che quando il sistema vuole fermare qualcosa usa tutti i mezzi a sua disposizione, a cominciare dalla manipolazione dell’informazione.
Avete assistito a tante situazioni drammatiche. Cosa si prova in quei momenti?
Molta rabbia e molto dolore, perché i morti in mare non sono vittime di una catastrofe naturale, ma si potrebbero evitare con soccorsi efficienti, corridoi umanitari, ecc. Se i migranti a bordo della Diciotti fossero stati naufraghi salvati da una nave da crociera, non avrebbero certo ricevuto quel trattamento vergognoso. E invece erano persone indebolite e traumatizzate, scampate agli orrori della Libia, bisognose di assistenza medica e psicologica.
Si sta facendo di tutto per rendere invisibili i migranti, per non farli partire. E ogni volta che siamo noi a partire, non sappiamo cosa ci troveremo davanti.
Vedo però anche dei segnali positivi: un numero maggiore di persone si sta attivando contro questa deriva razzista e xenofoba e alcuni ci hanno contattato, arrabbiati alla notizia che lasciavamo il Mediterraneo centrale per dirci: “Non potete andarvene!”
Che cosa ti dà la forza per continuare?
Ogni vita salvata mi ripaga di tutto lo sforzo, di tutte le difficoltà superate. Mi ricorda che qui si tratta di persone, che ogni vita conta. E gli attacchi non mi frustrano, anzi, mi danno forza, perché non si stanno violando solo i diritti dei migranti, ma anche quelli degli italiani, primo tra tutti il diritto a un’informazione vera.