Si è tenuta oggi a Cagliari l’iniziativa di solidarietà «a Luisi e agli altri percuisiti» organizzata da Rete Kurdistan Sardegna e a cui hanno aderito svariate organizzazioni sarde e italiane, da partiti ad associazioni, da movimenti a sindacati. Nel comunicato diffuso alla stampa si legge come oggi sia «in calendario una importante assemblea sul Kurdistan in risposta alla gravissima provocazione poliziesca ai danni di Luisi Caria, Antonelli Pabis e di un altra persona di cui ancora non si conoscono le generalità. Al termine di questo intenso fine settimana sarebbe superfluo riepilogare la cronaca di quanto accaduto, già ampiamente riportata dagli organi di stampa locali e dalle tante dichiarazioni di solidarietà dei movimenti sardi, collettivi, giuristi democratici, intellettuali, partiti, sindacati di base e singoli cittadini».
Cos’è successo?
Cinque giorni fa è stata pubblicata una notizia, rimbalzata su tutti i canali di comunicazione, nazionali e sardi, di un blitz antiterrorismo che aveva scovato un “foreign fighters” in Sardegna. Questa la notizia riportata dall’Ansa: «Perquisizioni sono scattate questa mattina in Sardegna nei confronti di un foreign fighter italiano e di altri due soggetti, sempre italiani, tutti residenti in Sardegna, nell’ambito di un’indagine dell’Antiterrorismo della Polizia e della Digos di Nuoro sulle attività di combattimento all’estero. Il foreign fighter è Pierluigi Caria e ha combattuto con le milizie curde: nei suoi confronti è scattato anche il sequestro preventivo del passaporto in quanto dalle indagini, coordinate dalla Dda di Cagliari, è emerso che l’uomo stava per ripartire per l’Iraq per poi raggiungere la Siria. […] Quest’ultimo [Caria ndr] era già stato in Siria e Iraq per combattere con le Ypg, le Unità di protezione del Popolo curde, e l’International Freedom Battalion, la brigata composta da militanti stranieri che affianca i curdi nella lotta all’Isis. A Caria viene contestato il 270 bis, l’associazione con finalità di terrorismo». Il termine,ad ogni modo, viene utilizzato, nel gergo giornalistico attuale, per indicare un combattente straniero che si arruola nelle fila dello Stato Islamico o Daesh, andando a prendere parte nella Guerra Civile Siriana, come analizzato anche da Formiche.net in un articolo/intervista del 2014 ad Andrea Manciulli, allora vice presidente Commissione esteri della Camera e presidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato.
In realtà Luisi Caria, una vita in A manca pro s’Indipendentzia e per la causa dle popolo sardo, è partito, come poi riporta anche l’Ansa nel corso dell’articolo, per sostenere la causa del popolo curdo contro l’Isis.
L’altro perquisito di cui conoscono le generalità si chiama Antonello Pabis, presidente dell’ASCE (Associazione sardacontro l’emarginazione) e sostenitore di Caminera Noa, progetto politico indipendentista.
La solidarietà
Proprio Caminera Noa ha espresso la solidarietà a Pabis, sostenitore del progetto, e a Caria con un lungo comunicato apparso su Facebook: «Caminera Noa esprime solidarietà incondizionata all’indipendentista Luisi Caria accusato assieme ad altre due persone di aver sostenuto i combattenti curdi dell’YPG nella guerra contro i terroristi dell’Isis. […] Sono stati proprio i curdi dell’Ypg, perdendo centinaia se non migliaia di uomini e donne, ad aver contribuito più di tutti alla disfatta dell’Isis in Siria. Riteniamo dunque che l’accusa di terrorismo vada non solo respinta con sdegno e preoccupazione in quanto del tutto infondata ma che rappresenti l’ennesima operazione repressiva nei confronti di chi da sempre si batte per affermare il diritto alla libertà, alla democrazia e all’indipendenza del Kurdistan. Non ci sorprende affatto che simili accuse vengano fatte alla vigilia delle elezioni regionali poiché è chiaro l’intento di inquinare il dibattito politico e nascondere ai sardi la natura dei loro problemi, a cominciare dall’occupazione militare, dalle devastazioni ambientali e dalla produzione e il traffico d’armi che interessa l’isola e che vede da sempre contrapposti coloro che si battono nelle file del movimento per l’emancipazione nazionale e sociale del popolo sardo. Caminera Noa ribadisce quindi il suo sostegno e la sua vicinanza ai combattenti per la libertà e la democrazia che, con estrema generosità e anche a rischio della propria vita, si sono battuti contro i terroristi dell’Isis ed ogni forma di fascismo e fanatismo, condannando con forza la natura intimidatoria delle perquisizioni che hanno colpito in queste ore oltre che Luisi Caria, il presidente dell’ASCE (Associazione Sarda Contro l’Emarginazione) e sostenitore di Caminera Noa Antonello Pabis».
Solidarietà arriva anche da Bustianu Cumpostu e da Sardigna Natzione Indipendentzia: «siamo a fianco di Luiseddu e lo sosterremo in tutto quello che sarà necessario perché non solo sia liberato da qualsiasi restrizione ma gli sia riconosciuto il merito per il suo alto impegno per la libertà e per la difesa dei diritti primari, dei popoli e delle persone. Anche nella guerra di Spagna la Sardegna era l’unica nazione senza stato con una propria brigata in difesa della democrazia, nulla di strano, anzi un onore, se nella guerra per la liberazione nazionale de Kurdistan ci fosse un novello Dino Giacobbe». E poi ancora esponenti politici, intellettuali, quotidiani, tanto che l’Unione Sarda, nel giro di pochi giorni, ha pubblicato un articolo dall’eloquente titolo: «La rete sta con Luisi», già scagionandolo – quasi – dall’accusa di essere un foreign fighter per cui, magari, sarebbe stato meglio fermarsi e rileggere più volte il termine prima della pubblicazione di una così marcata definizione che, evidentemente, avrebbe fatto il giro del web italiano ed europeo.
«Questo è quel che è successo»
Caria affida a Facebook un resoconto di quanto accaduto negli ultimi giorni scrivendo dettagliatamente un lungo post che riportiamo integralmente: «Questa mattina sono stato oggetto delle attenzioni della polizia italiana: questi signori si sono presentati a casa di mia madre, esibendo degli atti firmati da un pubblico ministero che mi accusano addirittura di “terrorismo”.
Da quanto ho potuto leggere sull’atto di sequestro del mio passaporto si tratta di un’indagine che riguarda un mio viaggio in Siria dello scorso anno, costruita utilizzando parecchie intercettazioni ambientali in cui frasi e pezzi di discorsi che mi vengono attribuiti sono puntualmente travisati per dimostrare le tesi accusatorie, come è spesso avvenuto nelle indagini architettate dall’antiterrorismo in Sardegna.
Molto prima che terminassero le perquisizioni, la polizia aveva già avvertito la stampa di questa “brillante operazione” corredando le notizie con alcune foto e video che avevano rinvenuto nella memoria di un telefono.
Io non ho nulla di cui vergognarmi e non ho commesso nessun crimine né per la mia coscienza e né per le leggi dello stato coloniale che occupa la nostra terra.
Da indipendentista sardo ho sempre rivendicato la mia militanza internazionalista, e non ho mai nascosto il mio appoggio verso la lotta per l’autodeterminazione del popolo curdo e verso la lotta dei curdi per la liberazione della donna e per costruire una società più giusta e democratica in Medioriente.
Ritengo sia semplicemente ridicolo che le YPG e l’IFB vengano associate al terrorismo. Si tratta di formazioni composte da volontari curdi, arabi, siriaci, turchi e occidentali che in mezzo all’orrore della guerra difendono da anni la popolazione della Siria del Nord dai tagliagole islamisti e dall’aggressione dello stato fascista turco. L’accusa infamante di terrorismo rivolta alle YPG è surreale e completamente immotivata. Ed è ancora più assurdo che la DDA di Cagliari pretenda di sindacare su quali siano le organizzazioni che debbono considerarsi terroristiche fra quelle che operano nel territorio siriano, lanciandosi in mirabolanti speculazioni di politologia e politica internazionale.
Voglio esprimere la mia più totale solidarietà agli altri perquisiti in questa vicenda semiseria e la mia vicinanza a tutti i compagni che oggi soffrono ben di più per il loro internazionalismo, seguendo l’esempio di Mehmet, Kendal, Orhan, Sahin, Baran e le migliaia di uomini e donne che hanno combattuto e sono caduti difendendo la rivoluzione confederale nella Siria del Nord».