Sì, è vero: una società ha diritto di difendersi dai suoi membri che non rispettano la legge ma, a mio parere, non lo dovrebbe fare dimostrando di essere peggiore di loro o, ancora peggio, creando un clima da far west.
La proposta di legge per riformare la legittima difesa, come deterrente a furti e rapine, mi fa paura e mi fa temere non certo per i rapinatori o per i ladri, ma per le brave persone, nel caso venissero derubate o rapinate, perché se un bandito sa che può essere ucciso, a sua volta tenterà di sparare per primo.
Chi è mentalmente malato (pedofili e simili), chi è in astinenza da droga, chi si sente in guerra contro il mondo per motivi religiosi o politici, non ha sostanzialmente paura di andare in carcere o di essere ucciso. Infatti, alcuni non hanno neppure paura di farsi saltare in aria nel nome del Dio di turno. La possibilità di essere ucciso non fa paura neppure ad uno che ha fame e molti ladri provengono da situazioni di degrado, emarginazione, povertà e altro.
Molti delinquenti si sentono in guerra verso la povertà, coltivano un sogno di vita diversa, un destino migliore e, sapendo che potrà loro capitare di ricevere una fucilata alle spalle, accetteranno di ammazzare per non essere ammazzati.
Leggete qui sotto questo articolo di Daniel Monni e capirete che questa non è una buona legge per la nostra società.
Brevi note sulla riforma della legittima difesa
“Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame…ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame”
-DE ANDRE’ F., Nella mia ora di libertà–
“Onorevoli colleghi! I recenti fatti di cronaca relativi a violente aggressioni in abitazioni private a scopo di furto e a rapine presso attività commerciali quali la rivendita di tabacchi, di prodotti petroliferi o di preziosi che vengono sempre più di frequente perpetrate ai danni dei nostri concittadini, ci impongono, nella nostra responsabilità di legislatori, di verificare che il nostro ordinamento sia adeguato per contrastare e prevenire tali fenomeni […] La norma dell’articolo 52 del codice penale appare […] insufficiente a garantire una possibilità di difesa da aggressioni violente, soprattutto nella parte in cui richiede, affinché ricorra la legittima difesa, la proporzionalità tra difesa e offesa[1]”: questo è, in estrema sintesi, il pensiero che anima la recentissima proposta riforma della legittima difesa.
La novella legislativa si comporrebbe, infatti, di quattro articoli:
- il primo aggiungerebbe il seguente comma all’art. 52 c.p.: “si considera che abbia agito per difesa legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’ingresso o l’intrusione mediante effrazione o contro la volontà del proprietario o di chi ha la legittima disponibilità dell’immobile, con violenza o minaccia di uso di armi da parte di una o più persone, con violazione del domicilio di cui all’art. 614 […][2]”;
- l’articolo due inasprirebbe le pene per il delitto di furto in abitazione;
- il terzo intenderebbe subordinare la sospensione condizionale della pena al “pagamento integrale dell’importo dovuto per il risanamento del danno alla persona offesa[3]”;
- l’articolo quattro, infine, vorrebbe escludere dai benefici penitenziari i condannati per furto in abitazione e furto con strappo.
Partiamo da un presupposto banale: la legittima difesa nasce come una presa d’atto del fallimento della capacità di prevenire reati dello stato. In quel determinato caso concreto, infatti, l’ordinamento non ha saputo prevenire la commissione di un reato e non è riuscito a tutelare il privato cittadino da un’aggressione. La legittima difesa configura, dunque, una sub specie di stato d’eccezione. Se questo è vero, e lo è, allora diviene imprescindibile dettare in modo chiaro gli elementi costitutivi della stessa: in caso contrario, infatti, si aprirebbe un’insanabile falla giuridica, poiché “si allargherebbero incondizionatamente i confini di operatività della legittima difesa ed ogni cittadino potrebbe disinvoltamente sentirsi autorizzato ad arrogarsi il ruolo di giustiziere nella prevenzione e repressione dei reati, con conseguenze deleterie facilmente immaginabili[4]”.
Gli elementi costitutivi della legittima difesa, tradizionalmente, sono i seguenti:
- attualità del pericolo;
- ingiustizia dell’offesa ad un diritto proprio od altrui;
- proporzione tra difesa ed offesa;
- necessità della condotta difensiva.
La riforma del 2006, invero, aveva già inciso pesantemente sulla legittima difesa, creando una presunzione assoluta di proporzionalità tra difesa ed offesa allorquando l’aggressore avesse violato il domicilio dell’aggredito[5]. Quest’ultima novella, tuttavia, non consentiva – e non consente – “un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui, ma presuppone un pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito o di altri[6]” e, in aggiunta, mantiene in vita il limite della necessità della condotta difensiva.
La causa di giustificazione delineata dall’art. 52 c.p., come si può ben comprendere, deve essere maneggiata con estrema cura poiché deroga al monopolio ordinamentale dell’uso della forza e consente al privato cittadino di auto-tutelarsi: cura ed attenzione che l’attuale legislatore, ahimè, non sembra conoscere. La riforma, infatti, sembra essere dettata da un’esigenza di sicurezza sociale sorta a seguito di spiacevoli fatti di cronaca. Il legislatore, preso atto di ciò, anziché chiedersi cosa non abbia “funzionato” nella prevenzione dei reati, sembra sostenere, con i fatti, che l’unica soluzione idonea a prevenirne la commissione sia quella di aumentare i limiti edittali e, paradossalmente, consegnare nelle mani dei singoli cittadini una sub specie di indiscriminato potere di auto-difesa. È un po’ come dire: “lo stato non sa come prevenire i reati! Ma voi cittadini, da oggi, potrete reprimerli direttamente!”. Tutto questo argomentare, a ben vedere, è un nonsense giuridico e rischia di gettare, ancora di più, nell’insicurezza la popolazione.
La proposta di riforma de quo, infatti, si presta ad almeno tre interrogativi:
- Concedere ai privati cittadini l’uso della violenza contribuisce a prevenire i reati?
- Innalzare le pene per determinati reati distoglie il possibile criminale dalla loro commissione?
- Escludere dai benefici penitenziari chi ha posto in essere i reati di furto in abitazione o furto con strappo previene la commissione degli stessi?”.
Alla prima domanda si potrebbe rispondere affermando che la concessione dello ius puniendi ai singoli cittadini non è altro se non l’ammissione di un fallimento da parte dell’ordinamento, il quale afferma, indirettamente, di non sapere (o di non volere) reprimere i reati. È una soluzione piuttosto pilatesca del problema la quale trascura il fatto che le esigenze di sicurezza dei cittadini non possono sopirsi dando “i forconi” in mano agli stessi ma, casomai, creando condizioni sociali che prevengano la nascita di possibili criminali.
Se al secondo interrogativo si potesse rispondere affermativamente, ad oggi, si potrebbe constatare l’assenza di criminalità. I recenti legislatori, infatti, hanno fatto dell’innalzamento dei limiti edittali uno strumento “attira-consensi” e, tuttavia, la prevenzione dei reati non sembra averne, minimamente, beneficiato: anzi. Si pensi, ad esempio, con riferimento al furto con strappo al caso del soggetto tossicodipendente che, in crisi di astinenza, “scippa” la vecchietta per procurarsi i soldi di una dose: possiamo veramente credere che l’aumento della pena lo farà desistere?
La possibile risposta alla terza domanda è la seguente: non si può confondere la fase antecedente al reato con quella successiva alla sua commissione. Scopo annunciato della riforma è prevenire la commissione del furto in abitazione: credere che tale risultato si possa perseguire escludendo dai benefici penitenziari chi ha già posto in essere tali reati e, quindi, escludendo tali soggetti da misure create per favorirne la rieducazione è, sinceramente, del tutto privo di logica. Se chi ha già posto in essere quella tipologia di reato non viene rieducato, come se ne può prevenire la commissione? La prevenzione dei reati, inoltre, si ottiene “ritoccando” la fase esecutiva della pena? Credere ciò è come sostenere che per prevenire un’infiltrazione d’acqua piovana dal tetto sia sufficiente mettere delle bacinelle nei punti dove già piove. Se la fase esecutiva, oltretutto, viene modificata in pejus ed impedisce la rieducazione, chiaramente, i risultati non potranno che essere infausti.
La proposta di riforma, in buona sintesi, sembra rispondere unicamente ad un’esigenza di sicurezza sociale che vuole travolgere qualsiasi principio giuridico. Una legittima difesa indiscriminata ed “onnipresuntiva” come quella ipotizzata nell’ A.C. 274, infatti, non può che rendere ancora più desolato l’attuale ordinamento giuridico: non solo una riforma di questo tipo non riuscirebbe a prevenire la commissione dei reati che vorrebbe reprimere ma, casomai, avrebbe l’effetto contrario di moltiplicarli. Legittimare l’uso della violenza, con presunzioni assolute di legittimità, infatti, creerebbe non pochi problemi dal punto di vista sociale: lo stato ammetterebbe di non saper prevenire i reati e di non poter difendere i propri cittadini. A ciò si aggiunga che un legislatore penale che pensa di reprimere la commissione dei reati punendo chi li ha posti in essere con “l’assenza di rieducazione”, a ben vedere, confonde due piani ben distinti: non rieducare il reo, infatti, non significa punirlo e, casomai, moltiplica la commissione di reati. Uno stato che non rieduca, paradossalmente, punisce sé stesso.
Si potrebbero chiudere queste brevi note con una riflessione: “si sente spessissimo parlare di sicurezza sociale e, altrettanto spesso, in nome di quest’ultima si vorrebbe sacrificare la rieducazione della pena sancita dall’art. 27 della Cost…quale articolo della Costituzione, tuttavia, sancisce il primato della sicurezza sociale?”.
Dott. Daniel Monni
[1]Proposta di legge, atto parlamentare n. 274 d
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] SARNO F., SARNO M., L’evoluzione della legittima difesa, Milano, 2008, pagina 7
[5] Cassazione Penale, 9 febbraio 2011, n. 11610
[6] Cassazione Penale, 14 novembre 2013, n. 691