Alla fine la Grecia, almeno sulla carta, ce l’ha fatta ed è tornata a crescere, anche se la ripresa ha avuto costi sociali drammatici e Atene ha ancora molta strada da fare se vuole sperare di restituire i 280 miliardi di euro di prestiti europei. Lo scorso 20 agosto il premier greco Alexīs Tsipras ha così potuto annunciare da Itaca “la fine dell’Odissea” dovuta al piano di austerità imposto della Troika (il trio composto da Fondo monetario internazionale, Bce e Commissione europea) durato otto anni e che nel 2015 aveva provato invano a rifiutare forte dei risultati del referendum che lui stesso aveva indetto contro le condizioni dei creditori europei.
Si è chiusa così, solo a livello formale, la crisi più difficile dell’eurozona e 8 anni difficilissimi per i greci che hanno subito un taglio netto a stipendi, pensioni e in settori pubblici primari come l’educazione e la sanità. Ogni nuovo taglio è stato scandito da durissime proteste in piazza proprio come quella dei Vigili del Fuoco ad Atene nel 2017 contro i tagli di 4 mila contratti, un terzo del totale sacrificati per ragioni di austerity e alla luce dei quali non sembrano casuali le difficoltà mostrate da Atene nel domare gli incendi che a luglio hanno distrutto l’Attica e fatto oltre 100 morti.
Incendi compresi, da adesso la situazione non migliorerà per i greci e serviranno decenni prima che Atene ripaghi i suoi prestiti, sempre che sia possibile. Dal 2010 ad oggi la Grecia ha perso un terzo del suo PIL e mezzo milione di persone sono emigrate all’estero. Nello stesso periodo, il 20% più povero della popolazione ha perso il 42% del suo potere d’acquisto. Lo stato ha un debito di 320 miliardi di euro, pari al 180% del PIL, il secondo rapporto più alto del mondo e il tasso di disoccupazione, sebbene sia diminuito e sia attualmente al 21% (percentuale che sale al 42,8% per quella giovanile), è tra i più alti d’Europa. Il governo dovrà mantenere uno stretto controllo sulla spesa pubblica cercando il modo di riportare le persone nel mondo del lavoro, possibilmente con stipendi dignitosi, in modo che possano ripagare i loro prestiti bancari e far ripartire i consumi. Nonostante l’acqua alla gola o forse proprio per questo, complici gli aiuti europei e le condizioni economiche migliori grazie al turismo, dal 2019 Tilos, una piccola perla greca del Dodecaneso dove ho avuto la fortuna di approdare qualche anno fa per una breve vacanza, ha puntato sullo sviluppo energetico rinnovabile e ha da poco annunciato che si alimenterà “solo con eolico e solare” al punto da essere presto “energeticamente indipendente”.
Un traguardo raggiunto grazie al progetto europeo Tilos Horizon che prevede lo sfruttamento dell’energia solare e eolica attraverso sistemi di accumulo. Sull’isola, che è ancora estranea al turismo di massa ed è la meta turistica di molti greci, si sta lavorando per rendere operativo il progetto che ha già visto nascere un importante parco di pale eoliche e pannelli solari ed è entrato nella prima fase di sperimentazione. Se le prove daranno esito positivo, durante l’estate 2019, Tilos sarà la prima isola del Mediterraneo che utilizzerà solo energia rinnovabile. Il progetto, finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020 a cui partecipano 13 soggetti tra aziende e istituti di sette paesi dell’Unione europea tra i quali Germania, Francia, Grecia, Gran Bretagna, Svezia, Italia e Spagna, ha l’obiettivo di dimostrare come il potenziale dello stoccaggio di batterie, a livello locale e su piccola scala, possa svolgere un ruolo multifunzionale all’interno di una micro rete di distribuzione dell’energia elettrica su un’isola che interagisce anche con le rete elettrica principale.
Gli impianti realizzati hanno una potenza di quasi mille kilowatt: 800 eolici e 160 di energia solare, quanto basta per soddisfare la domanda elettrica di quasi 780 abitanti e durante il picco della stagione turistica anche quella di circa 3.000 turisti. La principale sfida per i ricercatori è stata quella di costruire speciali batterie al sodio-nichel, prodotte in Italia, indispensabili per immagazzinare l’energia degli impianti rinnovabili. “Queste batterie sono insensibili alla temperatura esterne, e non hanno problemi, né quando fa troppo caldo, né quando fa troppo freddo. Sono molto utili e posso funzionare anche parzialmente, a seconda della disponibilità dell’energia rinnovabile”, ha spiegato Marco Todeschini, ingegnere elettrico italiano della Fzsonick che ha fornito i sistemi di accumulo. Se il progetto darà buoni risultati potrebbe essere replicato in altre isole con caratteristiche simili, cioè contesti che presentano una popolazione contenuta, ma con variazioni che rendono l’approvvigionamento di energia problematico durante la stagione turistica, anche per l’inadeguatezza delle reti elettriche standard che dovrebbero assicurare il rifornimento direttamente dal “continente”.
Il progetto è stato sostenuto finanziariamente dalla Commissione Europea per l’80 per cento (11 milioni di euro su un costo totale di 15 milioni) e anche da Tilos Park, un’associazione di residenti nata per proteggere e promuovere il patrimonio naturale e culturale dell’isola. I cittadini sperano che l’iniziativa generi un effetto positivo sul turismo portando un aumento del numero di visitatori, in particolare tra i viaggiatori attenti alla sostenibilità come ha ricordato Maria Kamma, sindaco di Tilos: “Cerchiamo visitatori, turisti in realtà, persone che visiteranno la nostra isola perché amano l’ambiente e vogliono proteggerlo, preservando la natura così come ci è stata donata”. Ma gli abitanti di Tilos e le loro ubique capre non sono soli. In questo contesto di crisi alcune isole (anche l’isola danese di Samsø è passata da una realtà in crisi a un paradiso ecologico che vive di turismo sostenibile ed energie rinnovabili) stanno diventando laboratori naturali per sperimentare nuove tecnologie, nuovi sistemi, ma anche nuovi approcci politici grazie alla condivisione del progetto con la cittadinanza. Un modello che forse potrebbe essere applicato anche in alcune isole minori italiane.
Alessandro Graziadei