“Fine Pena: Anno 9999”: questo è quello che è scritto sul certificato di detenzione di un ergastolano. Per Carmelo Musumeci è arrivato il 1° Gennaio 10.000: oggi infatti gode del regime di libertà vigilata. Ma è solo l’eccezione che conferma la regola.
Con la pena dell’ergastolo lo Stato non fa altro che operare una suddivisione dell’umanità in uomini ed individui superflui da eliminare dalla società, attraverso la crudeltà della pena. In fondo si tratta, in modo più ipocritamente gentile, di mettere in atto la stessa idea di Hitler di creare la razza pura.
Dopo 27 anni di carcere, prima da ergastolano ostativo (ad usufruire di qualsiasi possibilità di libertà), poi da ergastolano semilibero, sono passato, da alcune settimane, al regime di libertà vigilata.
Tanti anni fa, quando ero convinto che di me dal carcere sarebbe uscito solo il mio cadavere, avevo letto queste parole di Adriano Sofri: “Non ho più niente da dire sul carcere. Ne ho avuto abbastanza. Ne ho detto abbastanza”.
Per fortuna, invece, Adriano non ha mai smesso e ha continuato a parlare e scrivere di carcere, cosa che desidero fare anch’ io perché penso che quando una persona è stata prigioniera continuerà a esserlo un po’ per tutta la vita. Credo che non potrebbe essere altrimenti, perché è difficile rimparare a vivere dopo 27 anni passati in una tomba, coperto di sbarre e cemento.
Cercherò di riuscirci, consapevole che la vita che mi rimane da vivere fuori è molta meno di quella già vissuta dentro quattro mura. Non sarà certo facile, come non sarà possibile dimenticare: già ora, che sono scarcerato solo da pochi giorni, quando apro gli occhi al mattino e non vedo le sbarre alla mia finestra, non posso non pensare a quando mi svegliavo in carcere.
Ho sempre paura di aprire gli occhi e di trovarmi di nuovo nella mia cella, nel posto dove ho chiuso gli occhi migliaia di sere. Mi ritorna in mente che di prima mattina la solitudine e la tristezza si facevano più sentire e mi facevano più male, perché quando un prigioniero dorme può tentare di sognare di essere in un altro posto, di trovarsi in un altro universo, mentre da sveglio la realtà è tremendamente più dura.
Ricordo che già dall’ alba incominciavo a parlare con il mio cuore: “Pensi che valga la pena di vivere questa vita che vedo morire giorno dopo giorno, senza nessuna possibilità di cambiarla?”
Lo ammetto, mi piaceva un po’ torturarlo. “E a che serve essere vivo se non puoi più esistere?” Forse perché lo sentivo più sicuro di me. “Credo che si possa essere più vivi da morti che vivi da ergastolani.” Questo mi faceva un po’ rabbia. “E non mi parlare di speranza perché è un veleno che mi sta avvelenando da tanti anni.” E mi piaceva sfogarmi un po’ con lui. “Se solo però avessimo un fine pena!”.
D’ altronde non avevo nessuno altro con cui prendermela. Mi piaceva anche ricordargli che continuava a battere solo per poi morire murato vivo in una cella di un carcere. E lo avvisavo che la speranza faceva bene quando era vera. Faceva però maledettamente male quando era falsa. E che sarebbe stato peggio per lui se continuava a sperare di essere un giorno un cuore libero.
Mi ricordo che lui non batteva ciglio. “Ci siamo, ancora ti devi svegliare e inizi già rompere le palle.” Imperterrito iniziava a rispondermi. “Per favore, non incominciare già dall’ alba a brontolare. Lo so, non è facile sapere che devi vivere fino all’ ultimo dei tuoi giorni murato vivo. Non è neppure semplice vivere sapendo di morire in carcere. Ti devi però fare coraggio. E ricordati che finché c’ è vita c’ è speranza. Non t’ arrendere. E non essere tutto il giorno incazzato. Non t’ arrendere mai. Non te lo puoi permettere.
Gli rispondevo che era difficile per tutti vivere, ma quasi impossibile farlo sapendo di non poter mai uscire dal carcere. E che i miei sogni stavano diventando sempre più piccoli. Nel frattempo che discutevo con il mio cuore, decidevo di aprire gli occhi ma, appena vedevo il blindato davanti, mi veniva voglia di rinchiuderli subito.
Adesso, invece, appena apro gli occhi al mattino, mi alzo e guardo dalla mia finestra senza sbarre. Poi scendo a correre nel verde della campagna che mi circonda. Non posso, però, fare a meno di pensare ai miei compagni ergastolani che, se non cambieranno le leggi in Italia, moriranno in carcere, perché io sono l’eccezione che conferma la regola e solo per me è arrivato il 1° Gennaio 10.000. Ma credo che non sarò mai realmente felice e libero fin quando ci saranno persone condannate e maledette dalla società ad essere cattive e colpevoli per sempre, con la scritta nel loro certificato di detenzione “Fine Pena: Anno 9999”.
di Carmelo Musumeci