“Buongiorno Italia! È un magnifico lunedì del primo anno fascista, II stagione”, così commenta, un giornalista su un social network, la notizia dell’adozione, da parte del governo nazionale, del nuovo decreto sull’immigrazione.
Non è dato sapersi se egli si riferisca, nell’uso dell’epiteto “fascista”, ai membri del governo legittimo del paese o a quegli italiani che ne condividono le scelte.
Il governo, da buon governo populista, infatti, sta semplicemente attuando quanto richiedono molti degli italiani che hanno votato, lo scorso 4 marzo, per i partiti che lo sostengono: “via i negri e gli zingari dal Paese” come Sacro Graal per vivere felici … !
Ovviamente, personalmente, non condivido. Non condivido il senso della proposta di provvedimento e non condivido che la felicità possa giungere dal rendere infelici gli altri. Ma devo accettare che questo sia, invece, il pensiero di una parte degli italiani. Un pensiero frutto di ancestrali paure e di un sapiente e profondo lavoro di semina di odio.
Ma andiamo al merito del decreto contro l’immigrazione.
Qui voglio soffermarmi solo su due punti. Gli altri punti, più o meno criticabili e contestabili, mi sembra che rientrino nella legittima valutazione di un governo in carica. Peraltro, la deputata europea Elly Schlein già ha espresso qui su Pressenza condivisibili, per me, ragionamenti sulla proposta di ridimensionamento degli centri SPRAR e del permesso umanitario di cui al Testo unico sull’immigrazione del 1998.
Ma questi ulteriori due punti su cui desidero accendere l’attenzione, invece, mi sembrano assolutamente assurdi.
Decreto Salvini: la revoca dello status di rifugiato
«Il decreto estende la lista dei reati che comportano la revoca dello status di rifugiato o la protezione internazionale: saranno inclusi anche i reati come […] resistenza a pubblico ufficiale», spiega il settimanale Internazionale.
Personalmente mi sembra, tale reato, ben poca cosa a fronte del grave pericolo cui va incontro il “rifugiato” in caso di revoca dello status, già riconosciuto, e quindi, in teoria, di espulsione verso il paese da cui fugge.
Mi sembra pure incoerente che la proposta giunga per bocca di chi, Matteo Salvini, ha avuto una condanna a 30 giorni di reclusione – pena sospesa ovviamente – per oltraggio a pubblico ufficiale.
Ma il punto che mi sembra ancora più rilevante è il secondo.
Decreto Salvini: almeno 14 anni per la cittadinanza
La legge 91 del 1992 – governo Andreotti – stabilisce che «la cittadinanza italiana può essere concessa […] su proposta del Ministro dell’interno […] allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica» (lettera f dell’art. 9).
La proposta Salvini prevede l’aggiunta di un comma 9-ter a tale norma che estende a «quarantotto mesi» (4 anni) «il termine per la definizione dei procedimenti». La cittadinanza italiana per “naturalizzazione”, quindi, potrà essere concessa dopo 14 anni di residenza. Ma, di fatto, non prevedendo l’art. 9-ter una sanzione in caso di mancato rispetto del termine (per effetto della contestuale previsione di abrogazione del comma 2 dell’art. 8), il termine diventa “ordinatorio”. In definitiva .. il termine potrebbe diventare …. mai!
Si tratta di una cattiveria gratuita; probabilmente di un atto illegittimo “vestito” di legittimità.
Decreto Salvini: la legge 241 calpestata
Una cattiveria solo propagandistica perché appena 87.000 gli stranieri che ottengono ogni anno la cittadinanza per matrimonio o per naturalizzazione (dato 2014, ultimo pubblicato sul sito del Ministero degli Interni); migliaia di quest’ultimi sono europei.
La concessione di cittadinanza è un procedimento amministrativo che viene avviato su istanza dell’interessato, previa presentazione di una serie di documenti che attestano – ad esempio – il possesso di un reddito non inferiore a 8.263 euro annui e l’assenza di condanne, nel paese d’origine, ad oltre tre anni di reclusione, in originale e con traduzione in lingua italiana.
La legge 241 del 1990 sul procedimento amministrativo stabilisce all’art. 2 che un procedimento amministrativo debba concludersi nel «termine di trenta giorni» o nel maggiore termine previsto dalle pubbliche amministrazioni competenti. Tuttavia, che il termine sia stabilito in 4 anni appare chiaramente e ingiustificabilmente sproporzionato.
Per una volta si potrebbe dire che “si stava meglio, quando si stava peggio”: con la legge regia n. 555 del 13 giugno 1912 (quella sulla cittadinanza abrogata per fare posto alla legge repubblicana del 1992) la cittadinanza era concessa allo straniero residente «da almeno cinque anni nel Regno».
Cittadinanza: proposte e buone pratiche
La materia andava certamente riformata; ma nel senso opposto. Abbreviando i termini per l’esame delle domande, compatibilmente alla complessiva della pratica, a tempi prossimi a quelli minimi previsti dalla legge 241. La cittadinanza è una forma di “inclusione” del residente. Parola che sottintende la vera risposta alla sicurezza.
Qualcosa di positivo che si muove però c’è, anche nel nord Veneto, a Vicenza: lo scorso 12 febbraio, ad esempio, la consegna della cittadinanza italiana è avvenuta per la prima volta in forma pubblica, nell’Aula del Consiglio comunale. L’assessore Filippo Zanetti ha ricevuto i neo italiani con un «per noi è una vera e propria ricchezza accogliere nella nostra comunità nuovi cittadini».
NOTE: scarica qui il testo integrale del Decreto Sicurezza Salvini.