Siamo abituati a pensare all’Africa come al continente più povero del mondo, dilaniato da conflitti, in cui milioni di persone sono malnutrite e muoiono di fame. Il paradosso è che, accanto a questa situazione ancora grave e diffusa, sempre più africani da due decenni a questa parte hanno iniziato a convivere con il problema opposto, ovvero l’obesità, foriero di nuove ma non meno terribili conseguenze. La rapida urbanizzazione, la crescita della popolazione e le economie in espansione nelle fila delle famiglie a reddito medio stanno infatti portando a un maggiore consumo di cibi ipercalorici, in gran parte importati, e ad uno stile di vita più sedentario. A questo si aggiunga come negli ultimi anni, grandi marchi di fast food come Burger King, McDonald’s, KFC, Pizza Hut e Subway abbiano fatto acquisti nel continente nella speranza di trarre vantaggio dalla classe media in espansione che ha reddito disponibile e ha ormai sviluppato un certo palato per il cibo trasformato. Fattori che tutti insieme hanno contribuito al diffondersi dell’epidemia di obesità in paesi come l’Egitto, il Ghana, il Sudafrica, la Nigeria e non solo. Secondo l’Oms più del 30 per cento degli adulti africani sono in sovrappeso, con tassi di obesità prossimi al 10 per cento anche in paesi molto poveri come la Sierra Leone e la Liberia. Cifre certo più basse rispetto agli altri continenti, ma ad allarmare è la velocità con cui il fenomeno sta aumentando. In Paesi come Ghana, Togo, Etiopia o il Benin la diffusione di obesi adulti negli ultimi 36 anni è aumentata del 500 per cento. In Burkina Faso si arriva addirittura a un incredibile +1400 per cento. Nel complesso, l’Africa subsahariana è la regione in cui l’obesità si sta diffondendo più rapidamente al mondo.
Questo a causa di una sorta di “occidentalizzazione della dieta”, che si è andata gradualmente a sostituire a quelle tradizionali africane, basate principalmente su cereali, radici e tuberi, pochi prodotti animali, alimenti con un alto contenuto di fibre e una bassa percentuale di grassi. Il cibo spazzatura e i prodotti da supermercato trasformati sono invece ricchi di grassi, zuccheri e sale e – cosa non meno importante – hanno dei prezzi abbordabili. Il problema è la loro carenza di sostanze nutritive, il che porta alla coesistenza di molteplici forme di malnutrizione all’interno delle stesse comunità e famiglie. Può succedere, ad esempio, che una madre sia obesa ma i suoi figli rachitici. E sono proprio donne e bambini ad essere più a rischio. Secondo i dati del 2017 dell’Unicef, del Gruppo della Banca Mondiale e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a livello globale ci sono 41 milioni di bambini sotto i 5 anni che sono in sovrappeso o obesi, di cui il 25 per cento vive in Africa. L’obesità nei bambini tra i 7 e gli 11 anni è aumentata dal 4 per cento nel 1990 al 7 per cento nel 2011, e dovrebbe raggiungere l’11 per cento nel 2025.
In Sud Africa, ad esempio, il 68 per cento delle donne sono in sovrappeso o obese secondo i dati del South Africa Demographic and Health Survey, mentre diversi studi affermano che il numero di giovani sudafricani che soffrono di obesità sarebbe raddoppiato negli ultimi sei anni(negli Stati Uniti ci sono voluti 13 anni perché ciò accadesse). Questo non ha necessariamente – o non completamente – a che fare con una maggiore disponibilità di reddito da parte della popolazione. Al contrario, secondo un articolo di Nalisha Adams pubblicato su Ips, i prezzi di frutta e verdura sarebbero aumentati al punto che “le persone più povere hanno dovuto rimuoverli dalle loro liste della spesa”. Ancora: mentre il salario mediano per i neri sudafricani è di 209 dollari al mese, un paniere alimentare mensile completo dal punto di vista nutrizionale ne costa 297. “La frutta e la verdura stanno diventando oggetti di lusso per molte persone” si legge. Il Sud Africa, però, è anche uno dei pochi Paesi africani in cui si è cominciato a prendere coscienza del problema anche a livello politico: nell’aprile di quest’anno, il governo ha introdotto la cosiddetta “tassa sullo zucchero” che addebita ai produttori 2,1 centesimi per grammo di contenuto di zucchero che supera i 4 grammi per 100 millilitri. L’intento è scoraggiarne, almeno tra i più poveri, il consumo smodato. Certo, anche le multinazionali hanno le loro strategie. In Kenya ad esempio la Coca-Cola ha messo in commercio bottiglie più piccole al costo di circa 15 centesimi (rispetto alla bottiglia standard da 300 millilitri che costa 25 centesimi) proprio per raggiungere le classi economiche più basse. Il New York Times racconta come nel paese sia obesa una persona su 10 e nella baraccopoli di Kibera alcuni dei cibi meno costosi da acquistare sarebbero patatine fritte e pasta fritta, a 20 centesimi ciascuno. “Le mele, al prezzo di 40 centesimi, sono fuori dal budget della maggior parte delle famiglie”. Non mancano infine i problemi culturali: in molte aree dell’Africa subsahariana la magrezza è associata alla fame e alla malattia – in particolare l’HIV – mentre l’essere grassi è sinonimo di successo e bellezza. Per questo molti esperti richiamano i governi affinché si attivino anche nell’informazione ed educazione delle popolazioni, così come ad attivare provvedimenti, regolamenti e incentivi economici per favorire ad esempio l’agricoltura sostenibile, o indirizzati ai supermercati che evitano frutta e verdura fresche a causa dei bassi margini di profitto.
La questione va infatti affrontata il prima possibile. Secondo la Fao, 3 milioni di persone muoiono ogni anno a causa dell’obesità, e sovrappeso e obesità potrebbero essere la principale causa di morte in Africa entro il 2030. Sono infatti responsabili di varie malattie cosiddette non trasmissibili che causano alti costi economici, sofferenza umana e scarsa qualità della vita: si parla di malattie croniche come malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, ipertensione, malattie coronariche e alcuni tipi di cancro. Inoltre, mettono a dura prova l’assistenza sanitaria e le risorse sociali, ancora non idonei perché per lo più concentrati su AIDS, malaria, tubercolosi e febbri tropicali – storicamente, i grandi assassini dell’Africa. Non è un caso che il numero di persone con diabete nell’Africa Subsahariana sia aumentato molto rapidamente negli ultimi tre decenni. In alcuni paesi la prevalenza della malattia ha raggiunto quasi il 22 per cento nella popolazione adulta e fino al 30 per cento negli uomini e donne di età compresa tra 55 e 65 anni.