Nonostante il nuovo accordo di pace restano i dubbi sulla possibilità di una pace duratura e di giustizia per le vittime delle violenze.
L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha reagito con molto scetticismo alla firma del nuovo accordo di pace per il Sudan del Sud. Dopo il fallimento dell’accordo di pace del 2015, lo scorso 5 agosto il presidente del Sudan del Sud Salva Kiir e il leader dell’opposizione nonché ex-vicepresidente Riek Machar si sono incontrati della capitale sudanese Khartoum per firmare alla presenza di diversi capi di stato africani un nuovo accordo di pace che dovrebbe mettere fine a cinque anni di sanguinosa guerra civile. L’accordo, che regola la suddivisione del potere nella giovane nazione africana, prevede che l’attuale presidente Salva Kiir mantenga la sua carica presidenziale mentre il leader dei ribelli Riek Machar venga reintegrato nel governo di unità nazionale come primo vicepresidente.
La suddivisione del potere stabilita con la nuova intesa ripropone quindi le stesse persone che già prima della guerra ricoprivano quelle stesse cariche e la cui lotta per il potere ha di fatto trascinato il paese in una guerra civile in cui sono morte oltre 50.000 persone e, oltre ad aver raso al suolo il paese, ha messo in fuga 2 milioni di abitanti su una popolazione di 12 milioni.
Secondo l’APM, le basi su cui dovrebbe poggiare l’augurabile pace duratura nel paese sono quindi molto deboli. Non solo perché il paese continuerà ad essere governato da coloro che per la propria brama di potere hanno scatenato la guerra ma anche perché il governo dei vicini Kenya, Uganda e Egitto sembrano poco interessati a porre fine alle violenze e a impegnarsi per una vera pace in Sudan del Sud, e, in ultimo, perché la suddivisione di potere fissata dalla nuova intesa lascia poco spazio al perseguimento giuridico dei crimini commessi. Entrambe le parti in causa sono infatti accusate di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. Reinsediati nelle loro posizioni di potere è difficile pensare che i due leader permetteranno indagini serie, è invece più probabile che ognuno tenterà di bloccare le indagini sui crimini commessi dal proprio schieramento. Senza una reale giustizia per tutte le vittime del conflitto, a qualunque schieramento appartenessero, è difficile pensare che le violenze nel paese possano cessare definitivamente.
Con gli accordi di pace del 2015, poi falliti, l’Unione Africana (UA) era stata incaricata di istituire una corte penale mista che indagasse sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi da entrambi gli schieramenti. Finora nulla è stato fatto e ad una precisa domanda in tal senso dell’ambasciatore statunitense in Sudan del Sud, il ministro per la giustizia sudsudanese ha laconicamente risposto che il governo “ne sta conversando con l’UA”.