Adam Alter è uno psicologo americano che ha pubblicato “Irresistibile”, un saggio molto denso e illuminante che esamina l’enorme influenza comportamentale delle tecnologie più moderne, dei social network e dei videogiochi (Giunti, 2017, 336 pagine, euro 19,50).
La vera dipendenza comportamentale non riguarda il cibo, il bere o il fumare una sostanza, ma si genera “quando una persona non può evitare di attuare un certo comportamento che, nonostante risponda a un profondo bisogno psicologico a breve termine, produce danni significativi a lungo termine” (p. 23). Per avere una dipendenza serve una ricompensa o un rinforzo positivo, mentre “le ossessioni e le compulsioni sono intensamente sgradevoli se non vengono attuate” (p. 24).
Esiste però la via di mezzo delle “passioni ossessive” che “affliggono la mente” di una persona, che sono molto differenti da quelle armoniose in cui una persona impiega piacevolmente il proprio tempo senza sconvolgere “l’identità e in armonia con gli altri aspetti della sua vita” (p. 24). In poche parole: se una passione è sana, una persona non trascura il lavoro, la famiglia o gli amici.
Le principali dipendenze comportamentali possono riguardare la tv, il gioco d’azzardo, i videogiochi, lo shopping, l’amore, il sesso, il lavoro, lo sport e l’esercizio fisico, il web e l’uso di uno smartphone. La dipendenza dalla schermo di un computer o di uno smartphone può essere micidiale e distruttiva quanto quella da abuso di sostanze. Una ricerca mondiale di Mark Griffiths del 2011, basata su 1,5 milioni di persone che vivevano in quattro continenti ha dimostrato che “il 41 per cento della popolazione ha sofferto di almeno una dipendenza comportamentale nel corso degli ultimi dodici mesi” (https://twitter.com/DrMarkGriffiths, p. 28).
Naturalmente quando oltre “il 35 per cento della popolazione soffre di un disturbo, allora tale manifestazione fa semplicemente parte della natura umana… medicalizzare la dipendenza comportamentale è un errore. Quello che dobbiamo fare è ciò che fanno a Taiwan e in Corea. Considerano la dipendenza comportamentale come un problema sociale piuttosto che un problema medico” (Allen Frances, p. 26).
Le persone “preferiscono interrompere un periodo di mite piacevolezza con una dose di moderata difficoltà” (p. 158), ma se “le dipendenze da sostanze sono chiaramente distruttive, molte dipendenze comportamentali sono atti silenziosamente distruttivi avvolti dall’aura della creatività” (p. 162). Però bisogna sottolineare che tutte le persone hanno sviluppato una forma più o meno intensa di dipendenza. La dipendenza dalla Tv è probabilmente quella socialmente più accettata…
Un modo per iniziare a risolvere questo genere di problemi può anche essere di tipo tecnologico. Ad esempio si può utilizzare Moment, l’applicazione telefonica di Kevin Holesh, per monitorare i propri comportamenti telefonici e misurare la nostra dipendenza dallo schermo e dai social media: https://twitter.com/kevinholesh. Questa applicazione non calcola il tempo passato a parlare al telefono e quello passato ad ascoltare la musica.
Dall’analisi dei comportamenti di ottomila utenti di Moment è emerso che il 12 per cento delle persone guarda il monitor telefonico per massimo un’ora, il 22 per cento da una a due ore, il 25 per cento da 2 a 3 ore, il 18 percento da 3 a 4 ore, il 12 per cento da 4 a 5 ore, il 7 per cento da 5 a 6 ore, il 3 per cento da sei a sette ore e infine l’uno per cento arriva a superare le 7 ore di visione.
La cosa ideale sarebbe quella di non superare le due ore di visione dello schermo. Quindi, siccome sottostimiamo sempre le nostre dipendenze, rendersi conto di quanto tempo passiamo a fare qualcosa è il primo passo da compiere per iniziare a percorrere la lunga strada accidentata verso il superamento della schiavitù tecnologica e il raggiungimento della salutare libertà mentale. Le dipendenze comportamentali sono difficili da eliminare, ma si possono limitare o modificare integrandole con esperienze interpersonali più utili o fatte faccia a faccia.
Adam Alter è un giovane psicologo che ha collaborato con Google e Microsoft. Ora insegna marketing e psicologia presso la Stern School of Business della New York University. Le sue ricerche prendono in esame il giudizio, alcuni processi decisionali e la psicologia sociale. Per approfondimenti: https://adamalterauthor.com, www.ted.com/speakers/adam_alter.
Nota etica – Tristan Harris è un design ethicist e afferma che il problema non è che le persone non hanno forza di volontà, ma avviene che, “dall’altra parte dello schermo, ci sono migliaia di persone il cui compito è quello di indebolire il vostro autocontrollo” (p. 7). Per alcuni approfondimenti: www.ted.com/speakers/tristan_harris, https://twitter.com/tristanharris. Un progettista web etico non cerca di ingannare gli utenti e non prova a renderli dipendenti. In ogni caso “la lentezza è nemica della dipendenza, perché le persone rispondono in maniera più considerevole alle connessioni rapide tra l’azione e il risultato” (Adam Alter, p. 45). Gli account di posta elettronica aziendali dovrebbero “essere disattivati tra la mezzanotte e le cinque del mattino” (p. 293). I giochi possono ridurre la noia e il dolore, e potrebbero insegnare la generosità.
Nota sull’empatia – “Gli esseri umani imparano l’empatia e la comprensione osservando gli effetti delle loro azioni sulle altre persone. L’empatia non può svilupparsi senza un feedback immediato, e si tratta di una qualità che si sviluppa molto lentamente”. Decine di studi sugli studenti universitari hanno dimostrato che l’empatia è diminuita tra il 1979 e il 2009. “La situazione è grave fra i ragazzi, ma è anche peggiore per le ragazze… una teenager su tre afferma che le sue coetanee sono perlopiù scortesi con le altre sui social network. Ciò è vero per un ragazzo su undici nella fascia di età tra 12 e 13 anni e per uno su sei tra i 14 e i 17” (p. 41). Ragazzi e ragazze evitano di parlare al telefono o faccia a faccia, e preferiscono litigare utilizzando delle comunicazioni scritte.
Nota filosofica – “La tecnologia non è buona o cattiva, dal punto di vista morale, almeno fino a quando non viene utilizzata dalle imprese che la modellano per il consumo di massa” (p. 12). Ogni tecnologia dipende dall’utilizzo umano e rappresenta l’abile e spietata controfigura della natura umana che si rispecchia nelle diverse realtà sociali e culturali. Una persona non dipendente riesce a trovare tutto il tempo per mangiare, per dormire e per divertirsi insieme agli altri. Una persona annoiata potrebbe diventare dipendente dedicandosi al gioco d’azzardo online “per ritrovare le emozioni che non prova più nella vita quotidiana” (p. 74).
Nota estrema – La dipendenza è “un estremo attaccamento disfunzionale a un’esperienza gravemente dannosa per una persona, ma è anche una parte essenziale della sua ecologia, motivo per il quale non può rinunciarvi” (Stanton Peele, p. 74). Quindi “La droga innesca la produzione di dopamina esattamente come fanno gli stimoli comportamentali. Quando un individuo che manifesta dipendenza da videogiochi accende il computer, si osserva un picco nei livelli di dopamina”. Ma “non è il corpo a cadere vittima di un amore non corrisposto per una sostanza pericolosa, piuttosto è la mente che impara ad associare una sostanza, o un comportamento, al sollievo dal dolore psicologico” (Alter, p. 85).
Nota sperimentale – In un esperimento ad alcuni studenti è stato chiesto di rimanere da soli con i propri pensieri per venti minuti, oppure di scegliere di autosomministrarsi delle piccole scariche elettriche molto spiacevoli per passare il tempo. Alla fine ben il 66 per cento dei ragazzi e il 33 per cento delle ragazze hanno utilizzato la scarica elettrica almeno una volta. Quindi “la maggior parte delle persone preferisce fare qualcosa piuttosto che non fare nulla, anche se quel qualcosa è negativo” (otto psicologi, pubblicata su Science nell’estate 2014, citato a p. 157).
Nota basilare – Tutti i bambini non dovrebbero essere esposti agli schermi dei telefonini fino ai due anni di età e “dovrebbero avere il permesso di guardare solo la TV, un dispositivo passivo, fino” ai 6 anni, “quando potranno essere introdotti ai media interattivi, come gli iPad e gli smartphone” (Hilarie Cash, p. 224). In ogni caso un genitore dovrebbe essere sempre presente. Forse questa è la posizione eccessivamente rigida di una terapista, ma può essere presa come punto di riferimento per l’educazione digitale e relazionale. I bambini devo avere tutto il tempo per dormire bene, per fare attività fisica e per giocare con molti bambini nella vita reale.
Nota finale – In conclusione “qualsiasi esperienza può generare dipendenza se è in grado di placare un disagio psichico” (p. 76). Ma “non è sufficiente che una persona assuma un farmaco o attui un comportamento, deve anche apprendere che quell’esperienza costituisce un trattamento adeguato per ciò che la affligge psicologicamente” (Maia Szalavitz, https://twitter.com/maiasz, p. 71). La dipendenza è la gemella diversa di un amore sbagliato: è amore senza sostegno emotivo. Nella vita personale e lavorativa “gli stessi istinti che ci spingono a resistere quando proviamo dolore e a perseverare nelle difficoltà possono anche condurci verso il fanatismo e alla manifestazione di comportamenti di dipendenza” (p. 70). A causa degli inevitabili problemi esistenziali e relazionali “la prima età adulta è il periodo associato al più alto rischio di dipendenza. Pochissime persone sviluppano dipendenze più tardi, nel corso del ciclo di vita, se non hanno manifestato addiction durante l’adolescenza (p. 71). La gamification delle esperienze può essere usata negli affari e nella vita. Se viene utilizzata bene “genera comportamenti più saggi” (p. 273).
Nota cinematografica – Un documentario israeliano racconta un’esperienza rieducativa cinese: www.youtube.com/watch?v=NxW0KnzZtwY, www.pbs.org/pov/webjunkie (di Hilla Medalia e Shosh Shlam, 2015).