Dal 1970 siamo in debito, continuo e inassolvibile. Dal 197o infatti la popolazione umana consuma incessantemente più risorse di quelle che il pianeta terra può sostenere. Una continua erosione di risorse consumate ad una velocità e con metodologie tali da non permettere un rinnovo duraturo delle stesse, facendo sì che sempre più velocemente divoriamo ciò che non ci appartiene, ma appartiene alle generazioni future.[1]
Cos’è l’Overshoot Day, quando è nato, perché?
Come detto, l’Overshoot Day è il giorno dell’anno in cui la popolazione mondiale ha definitivamente consumato tutte le riserve disponibili sul pianeta terra per l’anno solare in corso. Questa data viene calcolata considerando il consumo annuale totale di risorse (Impronta ecologica – Ecological Footprint) e la capacità del pianeta terra di rinnovare dette risorse (Biocapacità).[2]
Per impronta ecologica si intende, più precisamente, l’impatto di una persona o di una comunità sull’ambiente, espresso come la quantità di terra richiesta per sostenere lo sfruttamento delle risorse naturali.
La biocapacità si riferisce invece alla capacità del pianeta di generare un approvvigionamento continuo di risorse rinnovabili. L’insostenibilità si verifica se l’impronta ecologica supera la sua biocapacità, come da decenni accade.
I due dati, impronta ecologica e biocapacità, vengono annualmente calcolati dal National Footprint Account[3] sulla base di dati provenienti dalle Nazioni Unite, compresi quelli pubblicati dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), dallo United Nations Commodity Trade Statistics Database e dalla Divisione statistica delle Nazioni Unite, nonché dall’Agenzia internazionale dell’energia. Fonti di dati supplementari includono studi pubblicati su riviste scientifiche e raccolte tematiche. Annualmente vengono anche aggiustati i parametri utilizzati per i calcoli, sono infatti continui i cambiamenti globali che influenzano l’ambiente e le sue risorse e quindi il loro utilizzo. Non è corretto quindi paragonare superficialmente i dati ottenuti nel corso degli anni limitandosi a considerare il singolo giorno segnalato.
Ciò non significa negare valore al dato visivo per cui in poco meno di 50 anni lo sfruttamento degli ecosistemi e delle risorse ha causato una perdita degli stessi che si attesta intorno al 35%[4] portando così a “rubare” fino a 5 mesi di risorse all’anno; è però necessario considerare diverse variabili per poter confrontare i dati in modo oggettivo dato che nel corso degli anni sono stati moltissimi gli eventi politici, economici, ambientali e sociali che hanno influenzato i consumi.
Può sembrare logico che, di fronte all’incontrovertibile dato dell’aumento della popolazione mondiale, si debba necessariamente avere un aumento di consumo delle risorse; questo può essere vero in parte, in realtà serve considerare che, oltre alla popolazione umana, sono aumentate le conoscenze scientifiche e tecniche volte ad una riduzione dei consumi; sono stati ratificati accordi e trattatati internazionali che disciplinano la materia; sono già disponibili soluzioni alternative a metodi di produzione e distribuzione per un consumo più consapevole anche da parte dei cittadini.
Annualmente (molto più rapidamente in realtà ma per comodità continuiamo a considerare come unità di misura di riferimento l’anno solare) siamo talmente abituati a ricevere (ed accettare passivamente) cattive notizie sul fronte climatico che spesso quelle positive passano inosservate. Vi sono stati anche eventi positivi però in ambito ambientale e climatico; ad esempio, all’inizio del 2018 è stata confermata una riduzione del buco dell’ozono di circa il 20%, con i teorici conseguenti miglioramenti per la salute dell’uomo, degli animali e delle risorse fitogenetiche. Non sarebbe corretto quindi paragonare il dato 2018 (Overshoot Day 1/08/2018) con il dato del 2000, quando il buco dell’ozono raggiunse la sua massima estensione; da notare che nel 2000 l’Overshoot Day avvenne il 23 settembre, ben un mese e mezzo dopo l’attuale data.
Eppure c’era un dato gravemente negativo ora in via di miglioramento, inoltre diversi trattati internazionali, come ad esempio il Protocollo di Kioto o il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’agricoltura e l’alimentazione, ancora non erano entrati in vigore e molti problemi ancora non erano stati nemmeno considerati dal diritto sia internazionale che nazionale; certo, la popolazione mondiale negli ultimi 18 anni ha visto un incremento di circa un miliardo di unità, dato di certo non secondario quando si parla di consumo di risorse.
Noi cambiamo, ci moltiplichiamo e moltiplichiamo “necessità inutili”, forziamo la natura modificandone il corso mentre la biocapacità è pressoché stabile da sempre.
Non è però realistico limitare la responsabilità dell’erosione delle risorse al semplice aumento della popolazione terrestre anzi, è negare la responsabilità ben più incisiva da addebitare a metodi di produzione e scelte di consumo incontrollate o totalmente errate.
Dato che l’unico dato statico (o quasi) nel calcolo dell’impronta ecologica è l’Ettaro Globale[5] e che non è possibile pensare ad una stabilizzazione della popolazione mondiale, né dal punto di vista della crescita né da quello della mobilità, è pacifico che bisogna intervenire alle radici dell’attuale modello di utilizzo delle risorse.
L’Overshoot Day nazionale
Oltre che per l’Overshoot Day globale, sono disponibili anche i dati riferiti singoli paesi; come per i dati a livello globale, i dati vengono sempre calcolati con il Global Footprint Network’s National Footprint Accounts.
Ad esempio, per l’Italia l’Overshoot Day quest’anno è stato il 24 maggio. Se tutti gli abitanti del pianeta si comportassero come i cittadini italiani, prima di giugno avremmo finito le risorse disponibili. I dati mostrano chiaramente come nel nostro paese, a fronte di un ettaro globale per abitante (gha) negli anni si sono raggiunti picchi di utilizzo di 5.3 gha per abitante, ossia la “spesa ecologica” di un singolo, consumando così 4 volte tanto rispetto a quanto avremmo dovuto.
Se quindi l’Italia dettasse uno standard generale di consumo, avremmo bisogno di 3 pianeti e mezzo con le stesse caratteristiche del pianeta terra per poter sostenere la richiesta di risorse attuale.
L’Overshoot day e l’agricoltura sostenibile
Il messaggio che vuole essere veicolato tramite l’Overshoot Day è chiaro e diretto: di questo passo non saremo più in grado di assicurare le risorse minime indispensabili a milioni di persone ed, inoltre, non saremo in grado di assicurare un futuro vivibile alle prossime generazioni verso cui abbiamo un obbligo non solo morale ma anche formale dato che la Carta delle Nazioni Unite nel suo preambolo annuncia che i paesi parte delle Nazioni Unite si impegnano “per salvare le generazioni successive dal flagello della guerra, che due volte nella nostra vita ha portato un indicibile dolore all’umanità”.
La sempre più insistente richiesta -e sperpero- di risorse ha comportato il loro depauperamento; la mancanza di risorse già in diversi paesi ha portato conflitti e sanguinose guerre e, in un futuro molto vicino, le grandi migrazioni di massa avverranno anche per l’approvvigionamento di risorse basiche, come l’acqua o la terra coltivabile[6], risorse sempre più scarse in determinati contesti, come quello africano. A queste ondate migratorie corrisponderanno azioni di contrasto volte a risolvere uno stato emergenziale, proprio come avviene ora, senza però che vengano effettivamente messe in atto misure di cambiamento sociale radicale, unica soluzione possibile per evitare conflitti sempre più indirizzati ad assumere una dimensione globale. È necessario agire da subito per contrastare un modello culturale malato che trova nel continuo consumo la realizzazione dell’essere umano e delle sue necessità.
Introdurre un sistema di produzione che ponga le basi sui tre pilastri dell’agroecologia[7] pare essere l’unica via percorribile per un futuro sostenibile; l’agroecologia pone le sue basi non sull’aumento quantitativo della produzione quanto su quello qualitativo.
La resa di un ettaro di terra coltivabile varia in base alle metodologie di produzione scelte: un’agricoltura intensiva che non incentiva la rotazione delle colture e che ha come scopo la massima resa del terreno tramite un ricorso minimo alla mano d’opera non è sostenibile nel lungo termine perché i terreni, esausti, non sono più coltivabili con la conseguenza che l’accaparramento di terre fertili è la prima causa di disboscamento a livello globale[8].
Considerando l’attuale situazione dei sistemi agricoli a livello mondiale, la strada da percorrere è molto lunga. L’agricoltura è il settore in cui da sempre e ancora oggi non vengono rispettati nemmeno i diritti umani fondamentali; in cui i più grandi dettano leggi confezionate appositamente per il mercato internazionale e per ottenere guadagni a sei zeri senza nessun riguardo per la salute delle persone o dell’ambiente.
L’agricoltura, intesa come la pratica che per 16.000 anni ha nutrito l’umanità, stimolandone anche il progresso sociale, era basata sulla collaborazione e il rispetto tra uomo e natura, mentre oggi nella maggior parte dei casi vi è solo un interesse prettamente economico espresso nelle grandi coltivazioni a monocoltura imposte da tendenze commerciali non sostenibili che stanno depauperando interi ecosistemi. Un’enorme produzione di una sola specie porta all’estinzione di centinaia di altre che per secoli hanno fornito risorse alimentari o mediche e che nei secoli, evolvendosi naturalmente, erano state in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici e anche sociali dei paesi originari. Oggi i ¾ dell’alimentazione mondiale verte su 12 specie vegetali e 5 specie animali; è evidente che questo meccanismo non può essere sostenuto a lungo.
L’agricoltura a larga scala come abbiamo imparato a conoscerla deve cambiare ma non solo, deve cambiare anche il modo in cui noi consideriamo il cibo, il modo in cui lo consumiamo e lo distribuiamo. Soddisfare una sempre più crescente domanda di risorse alimentari apportando il minimo danno ambientale è forse possibile: sicuramente utile sarebbe sostenere una reale transizione verso l’agroecologia che porti ad una rivisitazione dei modelli di produzione e consumo attuali per sostituirli con metodi circolari e sostenibili. L’agroecologia non è però una bacchetta magica, è un insieme di strumenti tecnici, sociali e politici che necessitano un’accurata applicazione declinata alle varie necessità culturali e locali.
Diversificare e ridurre i consumi si può e si deve, lo dobbiamo a noi stessi e a chi poserà i piedi su questo mondo dopo di noi.
Articolo di Mariapaola Boselli per Centro Internazionale Crocevia
[1] https://www.overshootday.org
[2] Earth Overshoot Day (EOD), precedentemente noto come Ecological Debt Day (EDD), è il giorno in cui la domanda e il consumo di risorse e le emissioni di anidride carbonica che creiamo superano la capacità stessa del pianeta di rigenerare quelle risorse e riassorbire le emissioni di carbonio. https://sustainabilitydictionary.com
[3] https://www.footprintnetwork.org
[4] M. Anielski e C. L. Soskolne, Genuine Progress Indicator (GPI) Accounting: Relating Ecological Integrity to Human Health and Well-being in “Measuring Progress and Decline: “The World Wildlife Fund’s (2001) LPI—a composite index of the health of the world’s forests, fresh waters and oceans—shows that between 1970 and 1999, the world’s ecosystems have declined by 33 percent. This ranged from declines of 12 percent for forests, 50 percent for fresh waters, and 35 percent for oceans (World Wildlife Fund 2001). Their study also found that human pressure on nature has increased about 50 percent over the study period and concluded that “the natural wealth of the world’s forests, freshwater ecosystems, oceans and coasts has declined rapidly, particularly in freshwater and marine ecosystems.”
[5] L’Ettaro Globale, dall’inglese Global Hectare, rappresenta la misura totale della biocapacità della Terra, misurata da quelle che sono le potenzialità di produzione a partire dagli ecosistemi presenti sul territorio. Un Ettaro Globale rappresenta invece il valore medio di produttività, sempre in termini biologici, per ogni ettaro di superficie del pianeta. https://en.wikipedia.org
[6] Si pensi che negli ultimi 100 anni con l’aumento demografico vi è stato un aumento del 600% dei suoli agrari irrigati necessari per far fronte alle crescenti esigenze alimentari, ma anche da un incremento di oltre il 700% dei consumi idrici complessivi al pianeta: infatti il consumo d’acqua nel mondo è aumentato negli ultimi anni di 6 volte, a un ritmo più che doppio rispetto al tasso di crescita della popolazione. https://it.wikipedia.org
[7] “L’agroecologia è una disciplina scientifica, un insieme di pratiche e un movimento sociale. Come scienza, studia come interagiscono i diversi componenti dell’agroecosistema. Come insieme di pratiche, cerca sistemi di agricoltura sostenibile che ottimizzino e stabilizzino i raccolti. Come movimento sociale, persegue ruoli multifunzionali per l’agricoltura, promuove la giustizia sociale, alimenta identità e cultura e rafforza la redditività economica delle zone rurali. I sistemi agricoli famigliari detengono gli strumenti per praticare l’agroecologia, sono i veri custodi della conoscenza e della saggezza necessarie.” Testo originale in inglese reperibile su http://www.fao.org/family-farming/themes/agroecology/en/
[8] I fattori trainanti o diretti della deforestazione e del degrado forestale sono attività umane e azioni che hanno un impatto diretto sulla copertura forestale e provocano la perdita di riserve di carbonio. Si stima che l’agricoltura sia la sia la causa di circa l’80% della deforestazione in tutto il mondo. https://www.forestcarbonpartnership.org/sites/fcp/files/DriversOfDeforestation.pdf_N_S.pdf