C’era bisogno che crollasse il ponte Morandi per comprendere quanto fosse sbagliata la politica dei lavori pubblici in Italia? Ovviamente no. Soprattutto non era necessario che decine di persone perdessero la vita.
Osservando le reazioni politiche a questa tragedia dobbiamo constatare, purtroppo, che non solo non era necessaria, ma non è nemmeno sufficiente. Le forze politiche maggiori, di governo e di opposizione, sono talmente offuscate nell’assurda dinamica dell’attacco e della difesa, da non riuscire a vedere oltre la polvere che si è alzata a causa del crollo del ponte di Genova.
Tanto è vero questo che l’attività principale di questa politica miope è quella di preoccuparsi di chi dovrà ricostruire il ponte nel minor tempo possibile, senza che a nessuno venisse in mente una semplice domanda: ma era proprio necessario costruire quel ponte?
A parte il ponte Morandi in sé, farsi questa domanda significa soprattutto chiedersi se la politica di lavori pubblici iniziata nella seconda metà degli anni ’50 sia stata veramente quella giusta per un paese, come l’Italia, tutto da ricostruire dopo l’uscita dal tunnel fascista e dalla guerra.
Altra domanda: quanto è stato rispettato, nell’arco dei decenni fino ad oggi, l’articolo 41 della Costituzione che dice: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”?
A questa domanda la risposta è, senza indugi, no, la Costituzione non è stata rispettata. Lo Stato, soprattutto negli ultimi tre decenni, è venuto meno al suo mandato, cioè quello di difendere l’interesse sociale, trasformandosi in un pallido collaboratore degli interessi privati, in primis aziende e banche, che tendono ovviamente a fare gli interessi dei loro azionisti spesso e volentieri anche contro i dettami costituzionali, mettendo senza scrupoli in secondo piano la sicurezza di tutti.
Quando si è andati contro ciò che detta la Costituzione, cioè contro la sicurezza, la libertà e la dignità umana?
Quando la logica d’intervento in generale è stata quella della grande opera pubblica, avulsa dal contesto territoriale e ambientale in cui si inseriva, subalterna a interessi di gruppi e “lobby” economico-finanziarie, tendenzialmente priva di qualsiasi intervento innovativo sul piano ambientale ed energetico.
Quando addirittura si è determinato il paradosso per cui la realizzazione di un’opera è diventata l’elemento d’irrigidimento per cui non si è riusciti a risolvere il problema che si voleva risolvere: proprio il sistema delle strade e autostrade ha tolto risorse alle ferrovie, per esempio, e il trasporto su gomma ha portato il sistema dei trasporti in un vicolo cieco e sull’orlo della paralisi. Per non parlare del fatto che alcune opere sono risultate, in tempi successivi, a elevato impatto ambientale e quindi in contrasto con l’utilità sociale di cui parla l’articolo costituzionale.
Il crollo del ponte Morandi rappresenta, quindi, anche il crollo del sistema finora perseguito. Comprendere questo e comportarsi di conseguenza rappresenta l’unico modo affinché la morte di tante persone, almeno, non sia stata inutile.
Quindi per quanto riguarda il Settore stradale e autostradale devono essere congelate, salvo le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla rete, tutte le nuove grandi opere autostradali
previste e devono essere verificate alla luce di un nuovo Piano Nazionale dei Trasporti e di nuovi Piani Urbani del Traffico incentrati sul trasporto delle merci su ferrovia, sul trasporto delle persone con mezzi pubblici e il progressivo ridimensionamento del trasporto su gomma.
Ovviamente è necessario, inoltre, il recupero e la confisca delle risorse economiche pubbliche destinate ad appalti pubblici in cui si sono evidenziate scorrettezze procedurali di gara e assegnazione, di revisione dei prezzi, o altri elementi di non trasparenza gestionale e amministrativa, e se fosse necessario la piena applicazione di ciò che già è previsto dall’art. 42 della Costituzione: “[…] La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. […]”.
In ultima analisi ciò che si propone, soprattutto per il futuro, è di cambiare sguardo: se il ponte Morandi non fosse stato guardato solo dall’alto ma anche dal basso, forse si sarebbero percepite più chiaramente le necessità di chi abitava sotto questa specie di monumento e che lo percepiva non come una meraviglia della modernità ma come una presenza nemica e una minaccia.