I 10 paesi con armi nucleari e loro alleati hanno osteggiato l’indizione della conferenza e non hanno partecipato ai lavori. Francia, Russia, UK e USA hanno preso immediata distanza dal trattato, denunciandolo come un pericolo per la sicurezza mondiale, e Corea del Nord, Cina, India, Israele e Pakistan lo hanno praticamente ignorato. Alla definizione del TPNW hanno invece contribuito in modo significativo un centinaio di organizzazioni non-governative (NGO), in particolare la coalizione ICAN comprendente oltre 400 associazioni, una novità senza precedenti per negoziati sulle armi nucleari.
Il trattato proibisce esplicitamente e formalmente alle parti, tra l’altro, di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, comunque acquisire, possedere o immagazzinare armi nucleari; usare o minacciare di usare armi nucleari e ospitarne sul proprio territorio. In questo modo intende delegittimare lo stesso possesso di armi nucleari a garanzia della sicurezza basata sulla deterrenza.
Il TPNW rappresenta una reazione politico-legale al mancato rispetto, da parte delle potenze nucleari, degli impegni a perseguire rapidamente il disarmo nucleare, come richiesto dall’articolo VI del Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari (NPT, 1970) e riaffermato nelle Conferenze di riesame del 2000 e del 2010 con indicazione di “passi” e “azioni” concreti, che di fatto non stati compiuti, a fronte di enormi programmi di ammodernamento e potenziamento.
Un fattore più politico dietro la decisione di negoziare il TPNW è stata una crescente e diffusa resistenza alle intrusioni neo-imperialiste delle maggiori potenze sulla sovranità di altri paesi e l’opposizione all’instaurazione di norme internazionali che le giustificano, in particolare nel settore della tecnologia nucleare civile.
Come approccio alternativo all’infruttuosa via al disarmo nucleare basata sulla successione di piccoli passi privilegiando a ogni stadio la stabilità e la sicurezza, i proponenti del TPNW decisero di considerare l’impatto delle armi nucleari sulla società e di ricorrere al diritto internazionale umanitario.
L’approccio umanitario
Dalla metà dell’800 si sono andate formalizzando nel diritto internazionale norme di comportamento e limitazioni alle operazioni di guerra in terra e in mare basate su principi umanitari, che escludono l’impiego di armi che infliggano sofferenze eccessive e intendono proteggere nei conflitti naufraghi, feriti, prigionieri e la popolazione civile. La formulazione attualmente più avanzata è espressa nei Protocolli addizionali (1977) delle Convenzioni di Ginevra del 1949, che hanno ispirato la proibizione di certe armi “inumane” (CCW, dal 1981) e i bandi delle mine anti-persona (1997) e delle bombe a grappolo (2008).
Il diritto umanitario si basa su quattro principi: la necessità militare, la distinzione fra combattenti e popolazione civile, la proporzionalità e l’umanità, che conferma il carattere limitato dell’uso lecito della forza militare: le necessità della guerra devono cedere di fronte alle esigenze di umanità, ed essendo l’unico scopo legittimo di un belligerante l’indebolimento delle forze armate dell’avversario, non c’è necessità di aggravare le sofferenze dei militari o usare mezzi che ne rendano inevitabile la morte.
L’idea di un approccio umanitario al disarmo nucleare è maturata nel contesto del “mondo senza armi nucleari” propugnato da Barack Obama, grazie in particolare a iniziative della Croce Rossa Internazionale, e ha trovato un esplicito riferimento nella conferenza di revisione dell’NPT del 2010.
A partire dal 2012 un numero crescente di stati e di NGO hanno sviluppato l’idea con iniziative distinte, ma intrecciate, lungo due percorsi. La prima traccia, più tradizionale, ha riguardato il processo di revisione dell’NPT e il Primo comitato dell’UNGA. La seconda traccia, più originale, si è articolata in tre conferenze internazionali (Oslo, 2013, Nayarit e Vienna, 2014), coinvolgenti rappresentanti della società civile, per studiare e sottolineare gli effetti sulla società delle detonazioni nucleari, i rischi posti dall’esistenza stessa degli arsenali nucleari e gli aspetti legali dell’uso e del possesso di armi nucleari nel contesto del diritto internazionale umanitario.
I risultati delle conferenze sono riverberati sulle iniziative istituzionali in ambito ONU con la creazione nel 2016 di un gruppo di lavoro (OEWG) sul disarmo nucleare, che ha portato appunto alla risoluzione dell’UNGA del dicembre 2016 per la costituzione della conferenza per “negoziare uno strumento legalmente vincolante per la proibizione delle armi nucleari, che porti alla loro totale eliminazione”.
Limiti del trattato
È il primo caso in cui un bando di una classe di armi viene negoziato senza la partecipazione di nessuno degli stati dotati di tali armi: ciò ha permesso una rapidissima definizione del trattato (solo quattro settimane), essendo molto ridotte le contrapposizioni, ma ha impedito di affrontare gli aspetti tecnici specifici in assenza di esperti sugli armamenti nucleari. Il TPNW è di fatto il frutto di una negoziazione non inclusiva condotta all’interno di un’enclave di paesi e NGO che la pensano allo stesso modo.
Un prezzo pagato all’eccezionale fretta (ogni altro bando di armi ha richiesto anni di negoziati) è l’aver aggirato alcune delle questioni più controverse e lasciato vaghi e non chiari multi punti critici, dando così adito a interpretazioni divergenti.
Ai paesi che aderiscono dichiarando di non possedere armi nucleari viene richiesto solo di conservare sui propri impianti i correnti controlli e salvaguardie dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA); in mancanza di accordi con la IAEA si richiede l’attuazione delle condizioni minimali previste dall’NPT. Di fatto vengono ridotte le condizioni anti-proliferazione previste dall’NPT stesso (il TPNW riconosce alla parti il “diritto inalienabile” a ogni sviluppo della tecnologia nucleare, mentre l’NPT pone delle precise condizioni) e ci sono problemi di compatibilità del TPNW con altri trattati internazionali. I lavori di preparazione della prossima conferenza di revisione dell’NPT stanno risentendo delle ulteriori tensioni e contrapposizioni generate nella comunità internazionale fra sostenitori e oppositori del trattato.
Il TPNW non prevede alcuna forma di controllo e di verifica delle dichiarazioni e nessuna procedura sanzionatoria per eventuali violazioni. In contraddizione con il principio della condanna categorica delle armi nucleari, viene infine data la possibilità di recedere dal trattato se sono a rischio “interessi supremi di un paese”, ammettendo così che tali armi possano essere indispensabili.
Per i paesi con armi nucleari che intendano aderire al trattato sono previste delle condizioni che prevedono un trattamento punitivo e delle procedure che difficilmente potranno essere accettate anche dagli stati che intendano rinunciare ai propri armamenti nucleari, per cui il TPNW è praticamente privo di effetti reali come strumento per il disarmo nucleare, anche perché non mira a creare le precondizioni necessarie per un mondo privo di tali armi.
Va infine osservato che la definizione del bando ha praticamente congelato il processo di sensibilizzazione sulle problematiche umanitarie delle armi nucleari sviluppato nel processo partito da Oslo. Per creare un rifiuto generalizzato di tali armamenti, necessario per definire una proibizione efficace, occorre una continuità di iniziative aperte e adattabili per rendere tale interiorizzazione davvero universale e coinvolgente tutta la società.