Il governo ha dichiarato che, dal 20 luglio in poi, lo stato d’emergenza non sarà più rinnovato. Oltre il fatto che il Paese stia vivendo le conseguenze devastanti di questa misura sembra che sulla Turchia rimarrà comunque la sua ombra grazie ai nuovi cambiamenti legislativi proposti dal governo.
Durante la campagna elettorale del 24 giugno il partito al governo, Partito dello Sviluppo e della Giustizia (AKP) insieme al suo nuovo alleato Partito del Movimento Nazionalista (MHP) e con la promozione del Presidente della Repubblica avevano già dichiarato l’arrivo di una decisione del genere. Anche se la cosa è avvenuta con un po’ di dubbi, disaccordi e timidezza, dopo le elezioni il governo nuovo ha mantenuto la promessa. Nel nuovo sistema amministrativo presidenziale della Turchia di oggi si uscirà dal tunnel buio dello stato d’emergenza. Tuttavia i cambiamenti legislativi proposti, secondo i partiti dell’opposizione, non faranno mancare la presenza e gli effetti di questa misura straordinaria.
Dopo il fallito tentativo di golpe del 15 luglio 2016, il governo dell’epoca aveva dichiarato lo stato d’emergenza. L’obiettivo era chiaro; “colpire in tutti i modi i golpisti”. In pochi giorni questa misura è stata utilizzata anche per colpire ogni tipo di opposizione. Lo stato d’emergenza rinnovato per ben sette volte in due anni ha creato un disagio sociale, economico, politico, amministrativo e psicologico in tutto il paese. Prima di parlare di come sono stati questi due anni di vita in Turchia guardiamo le proposte del governo per capire come vorrebbe andare avanti nell’amministrare del Paese.
La nuova Turchia
Il primo punto riguarda il rafforzamento dei poteri dei prefetti. Tra le proposte si legge la possibilità di allontanare fuori dai confini cittadini ed impedire l’accesso alle persone definite “pericolose” fino ai quindici giorni. Sempre i prefetti possono sospendere e/o vietare le manifestazioni, riunioni oppure dimostrazioni che “impediscono lo svolgimento normale della vita quotidiana dei cittadini” dopo mezzanotte.
Tra le proposte si legge una novità abbastanza radicale ed importante. Sarà possibile esercitare il diritto di svolgere indagini e perquisizione abitativa, vestiti e mezzi di trasporto da parte delle forse dell’ordine non più con il permesso del giudice ma con il permesso di un procuratore oppure di un alto ufficiale dell’esercito.
Nel pacchetto proposto si parla anche dei tempi della detenzione provvisoria. Per i reati di massa la detenzione si fa salire ai quattro giorni. Dopo questo primo periodo la detenzione si potrebbe rinnovare per altri quattro giorni per due volte se si ritiene che sia fondamentale presentare i sospettati davanti ad un giudice. Quindi la detenzione provvisoria in questo caso raggiungerebbe i dodici giorni. Tuttavia sulla costituzione resta l’articolo che limita la detenzione per questi casi a quarantotto ore.
Grazie ai cambiamenti in arrivo ancora per tre anni sarà possibile sospendere il passaporto di un cittadino. Sarà il Ministro degli Interni a decidere se revocare la decisione o meno. Bisogna sottolineare che con il nuovo sistema presidenziale questo ministero ormai dovrà rispondere soltanto al Presidente della Repubblica. In un intervento pubblico il 12 dicembre del 2017, il Ministro degli Interni, Suleyman Soylu, aveva dichiarato che erano stati trattenuti e/o annullati i passaporti di più di duecentotrentamila persone.
Con i nuovi cambiamenti sarà sempre possibile sospendere gli impiegati statali ma non con i metodi previsti dalla legge che regolamenta la disciplina lavorativa degli impiegati. Non sarà più incaricata la commissione dello stato d’emergenza ma ci sarà una nuova commissione per prendere queste decisioni. Questa sarà composta dai rappresentanti della Corte Costituzionale, della Corte Suprema, del Consiglio di Stato, del Consiglio Supremo dei Giudici e dei Magistrati e del Ministero della Difesa.
Inoltre i soldati ed i poliziotti accusati di far parte del fallito tentativo di colpo di stato, in caso di assoluzione del tribunale oppure della Commissione dello Stato di Emergenza non saranno automaticamente reintegrati ma la decisione spetterà ai ministeri degli Interni e della Difesa.
Le voci delle opposizioni
Le prime reazioni sono arrivate dai partiti dell’opposizione. Il portavoce del Partito Democratico dei Popoli (HDP), Ayhan Bilgen, ha attirato l’attenzione soprattutto sul caso degli impiegati sospesi. Nel suo intervento parlamentare, il 18 luglio, Bilgen ha detto: “Secondo il Ministro della Giustizia sono state condannate circa duemila persone con l’accusa di golpe. Sempre secondo la stessa relazione sono circa duemilacinquecento persone sotto processo con la stessa accusa. A questo punto non si spiega perché più di centocinquantamila persone hanno perso il lavoro senza il parere di un giudice. Inoltre con questi cambiamenti legislativi adesso lo stesso potere decisionale passerà nelle mani di una nuova commissione. Quindi il metodo antigiuridico continuerà ad esistere ancora per altri tre anni. Questo non è nient’altro che un camuffato rinnovo dello stato d’emergenza”.
Sono arrivate delle reazioni anche dal mondo dell’associazionismo. Il co-presidente dell’Associazione per i Diritti Umani (IHD), Eren Keskin, in un’intervista rilasciata al portale di notizie Gazete Karinca: “Grazie a questi cambiamenti legislativi ci troviamo di fronte ad un nuovo sistema in cui si ignora il potere del parlamento. Ormai i ministeri sono direttamente legati al Presidente della Repubblica quindi possiamo dire che si tratta di una nuova fase in cui numerose decisioni per “motivi di sicurezza” dipenderanno dalle parole di una persona singola. Quindi rischiamo di vivere un periodo peggiore rispetto quello dello stato d’emergenza”.
L’avvocatessa Fatma Ozdemir, portavoce della Piattaforma dei Giudici Libertari (OHP) commenta così: “Il governo durante lo stato d’emergenza ha fatto diventare leggi i numerosi decreti che ha emesso. Quindi le misure straordinarie dello stato d’emergenza sono diventate ormai parti integranti della vita quotidiana. Con questi cambiamenti legislativi si aggiunge anche la misura di sicurezza a tempo indeterminato in mano ai prefetti. Quindi a tutti gli effetti in Turchia si vivrà per sempre in stato d’emergenza”.
Gli effetti dello stato d’emergenza
Secondo i dati della Gazzetta Ufficiale e dell’agenzia di stato, Anadolu Ajansi, in due anni sono stati emessi 35 decreti di legge. 129 mila e 410 impiegati statali sono stati sospesi quindi non possono svolgere il loro lavoro oppure un altro lavoro pubblico. 70 giornali, 25 canali radiofonici, 15 agenzie stampa, 29 case editrici, 20 riviste e 20 canali televisivi sono stati chiusi definitivamente. Secondo la Piattaforma del Giornalismo Indipendente (P24) tuttora si trovano più di 150 giornalisti in carcere. 1767 associazioni non governative e fondazioni sono state chiuse.
Sotto lo stato d’emergenza sono state chiuse; 109 case dello studente, 934 scuole private, 15 università e 49 strutture sanitarie.
In questi due anni sono stati impediti 7 scioperi generali in base alle misure di sicurezza prese sotto lo stato d’emergenza. Il 25 aprile di quest’anno, in un intervento parlamentare, il Presidente della Repubblica ha promosso questo fatto con queste parole: “Vorrei rivolgermi al mondo delle industrie. In questo periodo abbiamo evitato diversi scioperi così abbiamo fatto sì che la produzione non avesse ostacoli”.
La Commissione che analizza le sospensioni dal lavoro di questo periodo ha ricevuto finora 87405 richieste, 20200 sono state rigettate e solo in 1300 casi le persone sono state reintegrate.
In queste condizioni straordinarie il 16 aprile del 2017 si sono svolte le votazioni per un referendum che ha dato vita ad un nuovo sistema amministrativo ed il 24 giugno si sono svolte le elezioni presidenziali e quelle politiche. In questo periodo sono stati arrestati 15 parlamentari nazionali dell’HDP ed uno del CHP. Secondo una relazione diffusa dalla Fondazione per i Diritti Umani di Turchia (TIHV) durante l’ultimo periodo elettorale sono state arrestate 361 persone iscritte all’HDP.
Inoltre durante lo stato d’emergenza a 94 sindaci è stato impedito di svolgere il loro lavoro ed al posto loro sono stati nominati dei commissari straordinari, spesso persone legate al partito al governo.
Sotto lo stato d’emergenza, Amnesty International ha documentato e registrato diversi casi di maltrattamento e tortura. Secondo l’avvocatessa Selcen Bayun, in un’intervista rilasciata a BBC Turkçe, alcuni alti ufficiali dell’esercito accusati di appartenere al fallito golpe sono stati pestati e picchiati duramente nei centri di detenzione e dentro le prefetture.
Nel primo anniversario dello stato d’emergenza, nel 2017, il Partito Popolare della Repubblica (CHP) ha diffuso una relazione sulle condizioni carcerarie. Salta all’occhio un dettaglio interessante; almeno 25 persone accusate di far parte del gruppo golpista si sono suicidate dentro oppure fuori dai centri di detenzione.
Mentre una parte del mondo politico e sociale si oppone e batte contro lo stato d’emergenza oggi alcuni partiti politici ed una parte della società parla a favore delle misure prese durante questo periodo. In diverse occasioni alcuni esponenti del governo ed il Presidente della Repubblica hanno anche parlato della possibilità di reintrodurre la pena della morte per i golpisti.
La guerra dell’AKP contro il suo storico alleato, la comunità di Gulen, ormai sta devastando il paese in tutti i modi. Inoltre la nascita e crescita di questo conflitto da quando si è trasformato in un tentativo di colpo di stato, esattamente come disse il Presidente della Repubblica nella notte del 15 luglio all’aeroporto principale di Istanbul, è diventato un “dono” per il governo.
La conseguenza più radicale e negativa di questo conflitto e dello stato d’emergenza è una nuova Turchia sempre più polarizzata al suo interno.