Ho avuto l’onore di stringere la mano a Nelson Mandela. Accadde nel 1997 in Svizzera durante la riunione del comitato olimpico che assegnò i giochi del 2004 ad Atene. Il presidente Mandela era lì per supportare la candidatura della Nazione Arcobaleno che sfociò successivamente nella organizzazione dei mondiali di calcio del 2010. Inutile dire che tra le personalità politiche presenti sul posto fu il più acclamato, applaudito e festeggiato. Insomma quando uscì dalla sede della riunione per fare la “passerella” tra la gente assiepata all’esterno più che un capo di stato sembrava di trovarsi al cospetto di una rock star. Incredibilmente elegante nella sua semplice e coloratissima camicia a 4 tasche indossata con disinvolta nonchalance, salutava con entusiasmo.
Me lo trovai davanti e lui mi tese la mano. Una stretta vigorosa che non sembrava certo di un uomo che all’epoca aveva già 79 difficili primavere alle spalle di cui 27 trascorse in regime carcerario durissimo. Un sorriso gli illuminava il volto ma non era un sorriso di circostanza o plastificato come le rituali immagini ci restituiscono i leaders durante gli incontri pubblici. Era il sorriso di una persona felice di essere in quel posto perché sentiva che stava facendo qualcosa di importante per il suo paese. Del resto individuò nello sport uno dei mezzi per fare uscire il Sudafrica dall’isolamento internazionale dopo gli anni dell’apartheid ed uno strumento di riconciliazione nazionale tra bianchi e neri. Ricordo quella stretta di mano e quel sorriso come un dono di una persona perbene, sincera e franca. Nulla di rituale. Non è casuale che a distanza di anni io ricordi ancora quelle circostanze. Non mi è più capitato pur continuando ad incontrare persone più o meno importanti.
Non è l’effetto “come eravamo” o aver riposto la figura di Mandela nell’olimpo dei Grandi. E’ proprio l’impressione che mi fu trasmessa. Inutile dire che Mandela è stato unico per moltissimi aspetti. Intraprese la strada della riconciliazione senza le facili e comode scorciatoie della vendetta o del perdono. Fu un leader inimitabile perché mai pensò di far pagare ai suoi aguzzini gli anni di prigionia ed i dolori patiti, tra cui la morte di un figlio a cui non riuscì a dare neanche l’estremo saluto. Decise in piena autonomia di abbandonare la presidenza dopo il mandato dedicandosi ad altro: in Africa (ed in generale nel mondo) è un esempio unico.
Un eroe, come si è scritto. Per questo irraggiungibile. Il suo esempio non ha lasciato epigoni anche nel suo stesso paese dove la corruzione e l’attaccamento alle poltrone rischiano di mandare a gambe all’aria nelle elezioni del prossimo anno l’ African National Congress, il partito di Mandela al potere dal 1994. Anche l’esperienza politica sudafricana rischia di essere archiviata come l’ennesima rivoluzione tradita? I fatti sembrano portare in questa direzione. E’ veramente duro fare questa constatazione nel giorno del centenario della nascita di una delle figure politiche di maggior spessore nella storia recente.
Enzo Nucci