Dopo più di un quarto di secolo di carcere duro, sono ormai 20 mesi che sono sottoposto al regime di semilibertà, anche se il mio fine pena rimane, come per tutti gli ergastolani, il 31 dicembre 9.999. Da un anno e otto mesi passo le notti in carcere e tutte le mattine esco per recarmi in una struttura della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, dove presto servizio volontario. In questo modo sono felice perché la mia pena ha finalmente iniziato ad avere un senso e fa bene a me stesso e alla società. Continuo comunque a lottare contro la pena dell’ergastolo, perché io sono l’eccezione che conferma la regola e, purtroppo, stando così le cose, molti miei compagni usciranno solo cadaveri dalle loro celle.
Signor Ministro, che ne pensa della pena dell’ergastolo? Non crede che pretendere di migliorare una persona per poi farla marcire dentro sia una pura cattiveria? Anche perché in carcere se uno rimane cattivo soffre di meno.
Signor Ministro, credo che una persona in carcere dovrebbe perdere solo la libertà e non la dignità, la speranza, la salute, l’amore e, a volte, anche la vita. Diciamolo chiaramente: quasi sempre si finisce in questi posti per avere commesso dei reati, ma poi nella maggioranza dei casi si va, di fatto, in un luogo che nega la legalità e dove la legge infrange la sua stessa legge. In carcere in Italia sembra di stare in un cimitero, con molti detenuti nelle brande sotto le coperte a guardare i soffitti, imbottiti di psicofarmaci. Il problema è che molti di noi non sono ancora morti, anche se a volte ci comportiamo come se lo fossimo. Il carcere ti lascia la vita, ma ti divora la mente, il cuore, l’anima e gli affetti che fuori ti sono rimasti. E quelli che riescono a sopravvivere, una volta fuori, saranno peggio di quando sono entrati. La società vorrebbe chiudere i criminali e buttare via le chiavi, ma bisogna rendersi conto che prima o poi alcuni di questi usciranno. E molti saranno più cattivi di quando sono entrati. È difficile migliorare le persone con la sofferenza e l’odio.
Signor Ministro, il carcere in Italia non è la medicina ma è, invece, la malattia, che fa aumentare la criminalità e la recidiva. E che molto spesso aiuta a formare cultura criminale e mafiosa, La galera è spesso una macelleria che non ha nessuna funzione rieducativa o deterrente, come dimostra il fatto che la maggioranza dei detenuti ritorna a delinquere in continuazione. Come si può pensare di garantire la sicurezza sociale tenendo in carcere tossicodipendenti, che hanno bisogno solo di cure e che se curati non diventerebbero mai spacciatori? Come si fa a tenere un uomo dentro per sempre, con l’ergastolo ostativo, molto spesso “colpevole” di avere rispettato le leggi della terra e della cultura dove è nato e cresciuto, senza dargli la speranza di poter diventare una persona migliore? Perché queste persone dovrebbero smettere di essere mafiose se non hanno la speranza di un futuro diverso? Cosa c’entra la sicurezza sociale con tutte le privazioni previste dal regime di tortura del 41 bis? Il carcere in Italia, oltre a non funzionare, crea delle persone vendicative perché alla lunga trasforma il colpevole in una vittima: quando si riceve del male tutti i giorni si dimentica di averne fatto. E che dire dei numerosi suicidi di questi mesi? Io penso che molti detenuti che si tolgono la vita forse scelgono di morire perché si sentono ancora vivi. E forse, invece, alcuni rimangono vivi perché si sentono già morti o hanno già smesso di vivere. Altri forse lo fanno per ritornare a essere uomini liberi. E molti si tolgono la vita perché non hanno altri modi per dimostrare la loro umanità.
Signor Ministro, mi permetto di ricordare ad alcuni politici, che fanno certe dichiarazioni per avere consensi elettorali, che il carcere, così com’è oggi in Italia, non rieduca nessuno, anzi ti fa diventare una brutta persona. E se fai il “bravo” è solo perché sei diventato più cinico di quando sei entrato. Credo che “maggiore sicurezza” dovrebbe significare più carceri vuoti, perché fin quando ci saranno carceri pieni vuol dire che i nostri politici hanno sbagliato mestiere. La nostra Costituzione stabilisce che la condanna deve avere esclusivamente una funzione rieducativa, e non certo vendicativa. E la pena non deve essere certa, ma ci dev’essere la certezza del recupero, per cui in carcere un condannato dovrebbe stare né un giorno in più, né uno in meno di quanto serva. Io aggiungo che ci dovrebbe stare il meno possibile, per non rischiare di farlo uscire peggiore di quando è entrato.
Signor Ministro, in tanti anni di carcere ho capito che la mafia che comanda si sconfigge dando speranza e affetto sociale ai suoi gregari, facendoli così cambiare culturalmente e uscire dalle organizzazioni criminali. Sì, è vero, molti ergastolani non sono dei santi e se stanno dentro è perché hanno commesso gravi reati. Questo lo sanno anche loro, ma non sono più gli uomini del reato di 20 o 30 anni prima, non sono più i giovani di allora. Ormai sono uomini adulti, o anziani, che non hanno alcuna prospettiva reale di uscire dal carcere, se non da morti. Molti di loro sono stati condannati alla pena dell’ergastolo per reati commessi a 18/20anni, appena maggiorenni, e, per quante ne possano aver fatte, non potevano certo essere i boss della mafia che ha distrutto l’Italia. Sono stati, al massimo, manovalanza a servizio della mafia. Ora sono persone che sanno di aver fatto errori, anche grossi, che stanno pagando e l’unica cosa che chiedono è una data certa del loro fine pena. In carcere quello che manca più di tutto è proprio la speranza di riavere affetto sociale. Solo questo può sconfiggere la mafia e creare sicurezza. I padri della nostra Costituzione lo sapevano bene -forse perché alcuni di loro in carcere hanno trascorso tanti anni- se hanno stabilito che la pena deve avere solo una funzione rieducativa.
Signor Ministro, vivere in carcere senza avere la speranza di uscire è aberrante. La pena dell’ergastolo è un insulto alla ragione, al diritto, alla giustizia e, penso, anche a Dio. A me sembra che finora le politiche, ultraventennali, del carcere duro e del fine pena anno 9.999 abbiano portato più vantaggi alle mafie (almeno a quelle politiche e finanziarie) che svantaggi, dato che anche gli addetti ai lavori affermano che l’élite mafiosa è più potente adesso di prima. A questo punto, io penso che se è solo una questione di sicurezza, e non di vendetta sociale, sia più sicura per la collettività la pena di morte che la pena dell’ergastolo o il regime di tortura del 41bis. Qualcuno sostiene che il carcere duro, almeno all’inizio, sia stato utile, ma questo a che prezzo? Io credo che alla lunga il regime di tortura del 41bis, e una pena realmente senza fine come l’ergastolo ostativo, abbiano rafforzato la cultura mafiosa, perché hanno innescato odio e rancore verso le Istituzioni anche nei familiari dei detenuti. Penso che sia davvero difficile cambiare quando sei murato vivo in una cella e non puoi più toccare le persone che ami, neppure in quell’unica ora al mese di colloquio che ti spetta. Con il passare degli anni i tuoi stessi familiari incominciano a vedere lo Stato come un nemico da odiare e c’è il rischio che i tuoi figli, che si potrebbero invece salvare, diventino loro stessi dei mafiosi.
Signor Ministro, sono rimasto perplesso di fronte al programma di costruire nuovi istituti penitenziari, perché nei Paesi in cui ci sono pochi carceri ci sono anche meno delinquenti. Non citerò i dati sulla recidiva, ma per esperienza personale penso che il carcere in Italia non fermi né la piccola né la grande criminalità, piuttosto la produca. E questo probabilmente perché quando vivi intorno al male non puoi che farne parte. Penso che spesso non siano i reati commessi a far diventare una persona criminale, bensì i luoghi in cui è detenuta e gli anni di carcere che vengono inflitti. Si vuole assumere nuovo personale di Polizia, ma siamo il paese nel mondo che, in rapporto al numero di detenuti, ha più agenti penitenziari. Non pensa che sarebbe meglio se in carcere ci fossero più educatori, psicologhi, psichiatri, insegnanti o altre figure di sostegno?
Signor Ministro, credo che sia sbagliato cedere parte della nostra umanità per vivere in una società più sicura. Sigmund Freud affermava che l’umanità ha sempre barattato un po’ di felicità per un po’ di sicurezza.
Io posso dire che per me è molto più “doloroso” e rieducativo adesso fare il volontario fuori che non gli anni passati murato vivo in isolamento totale durante il regime di tortura del 41bis. Trattato in quel modo dalle Istituzioni, mi sentivo innocente del male fatto; ora, invece, che sono trattato con umanità, mi sento più colpevole delle scelte sbagliate che ho fatto nella mia vita. E penso che questo potrebbe accadere anche alla maggioranza dei prigionieri che sono ancora detenuti in quel girone infernale. Sono convinto che anche il peggiore criminale, mafioso o terrorista, potrebbe cambiare con una pena più umana e con un fine pena certo. Ci sono persone che hanno passato più anni della loro vita dentro che fuori. Persone che sono cambiate, o potrebbero cambiare, ma che non potranno mai dimostrarlo perché nel certificato di detenzione c’è scritto che la loro pena finirà nel 9.999. In tutti i casi, il rischio zero non esiste per nessuna persona, perché siamo umani. In noi c’è il bene e il male e, a volte, spetta anche alla società rischiare, pur di trarre fuori il bene. È vero che una società ha diritto di difendersi dai membri che non rispettano la legge, ma è altrettanto ragionevole che essa non lo debba fare dimostrando di essere peggiore di loro. Purtroppo, a volte, questo accade. Penso che il regime di tortura del 41bis, insieme alle pene che non finiscono mai, non diano risposte costruttive, né tanto meno rieducative. Non si può educare una persona tenendola all’inferno per decenni, senza dirle quando finirà la sua pena, soprattutto nel caso, non raro, che essa non abbia ulteriori probabilità di reiterare i reati. Lasciandola in quella situazione di sospensione e d’inerzia la si distrugge e, dopo un simile trattamento, anche il peggiore assassino si sentirà “innocente”.
Signor Ministro, non voglio convincerla, desidero solo farle venire qualche dubbio. Non posso fare altro.