Trenta mesi. Sono trascorsi 30 mesi dalla scomparsa al Cairo di Giulio Regeni. Una scomparsa che fu un vero e proprio sequestro di persona, seguito da una sparizione di nove giorni nei quali il ricercatore italiano venne selvaggiamente torturato a morte.
Di ciò che successe a Giulio quando uscì dalla sua abitazione cairota, nel tardo pomeriggio del 25 gennaio 2016, non ci sono testimonianze né immagini (quelle delle telecamere di sorveglianza, consegnate dopo oltre due anni dalla magistratura egiziana, sono risultate incomplete e piene di “buchi” proprio nell’intervallo temporale fondamentale).
Ci sono, secondo la Procura di Roma, sospetti sulle responsabilità di funzionari dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, i servizi civili alle dipendenze del Ministero dell’Interno, noti già ai tempi di Mubarak (ma con altro nome) per eseguire sparizioni, torture e omicidi.
Ci sono le ricerche dei coraggiosi difensori dei diritti umani egiziani e delle organizzazioni non governative internazionali sui Giulio e sulle Giulia d’Egitto che, prima e dopo l’assassinio del Giulio di Fiumicello, hanno conosciuto lo stesso destino: inghiottiti, gli uni e le altre, dal sistema repressivo delle agenzie di sicurezza egiziane.
C’è la tenacia con cui la magistratura egiziana ha depistato, ritardato, proposto scenari offensivi nei confronti di Giulio, inverosimili e cinici (come l’assassinio di cinque innocenti, componenti dell’inesistente banda dei sequestratori di stranieri inventata prima della Pasqua del 2016).
Questo atteggiamento dilatorio delle autorità egiziane non sarebbe stato possibile senza l’incoerente attenzione, usiamo questo eufemismo, delle autorità italiane.
Proprio in questo periodo, un anno fa, era in pieno vigore la campagna per far tornare l’ambasciatore italiano al Cairo. La decisione sarebbe stata poi presa il 14 agosto, sulla base di un’affermazione falsa e di una prospettiva tutta da verificare: la prima, che la collaborazione della Procura egiziana con quella italiana stesse dando frutti positivi; la seconda, che la piena ripresa dei rapporti diplomatici (dopo il ritiro temporaneo dell’ambasciatore, deciso nell’aprile 2016) avrebbe favorito il raggiungimento della verità.
E siamo arrivati a oggi, a 30 mesi dal 25 gennaio 2016. Il nome di Giulio viene fatto, come fosse un obbligo o un modo per sentirsi a posto con la coscienza, in ogni incontro tra le autorità italiane e quelle egiziane. Ma a me pare che l’unico a farlo sinceramente sia il Presidente della Camera, Roberto Fico.
I 30 mesi dalla sparizione di Giulio saranno ricordati oggi anche a Forio d’Ischia, presso il Molo Borbonico, a partire dalle 19.30.