«Il contante è in via di principio il mezzo di pagamento prescelto per alcune transazioni riferite all’economia informale e illegale, poiché impedisce la tracciabilità e garantisce l’anonimato degli scambi. L’analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo sottolinea come l’uso del contante caratterizzi i fenomeni dell’usura, del traffico illecito di rifiuti e armi, delle truffe. L’uso massivo del contante connota la maggior parte dei reati connessi allo sfruttamento sessuale, allo spaccio di sostanze stupefacenti, ed è frequentemente associato a reati a scopo estorsivo e corruttivo e ad alcune fattispecie di reati tributari e fiscali».
Queste osservazioni sono contenute in un report della Banca d’Italia, che – a quanto pare – non è stato preso in considerazione dall’attuale Ministro dell’Interno Matteo Salvini, il quale durante l’Assemblea di Confesercenti ha recentemente dichiarato: «Fosse per me non porrei nessun limite al contante».
Il dibattito e le modifiche legislative sul “tetto” da porre ai pagamenti in contanti sono in corso da decenni in Italia. Era stato il Governo Berlusconi nel 2002 a fissare il limite a 12.500 euro. Nel 2008 il Governo Prodi l’aveva abbassato a 5.000 euro. Nello stesso anno Berlusconi l’aveva riportato a 12.500, per poi scendere a 5.000 euro nel 2010 e a 2.500 euro nel 2011. Alla fine del 2011 è arrivato il Governo Monti, che l’ha portato al minimo storico di 1.000 euro. Ma nel 2016 il Governo Renzi ha provveduto a triplicarlo, portandolo a 3.000 euro.
Questa politica ondivaga sul limite dei pagamenti in contanti dimostra che in Italia non esiste una chiara consapevolezza politica del problema. Infatti, sono abbastanza note le osservazioni critiche di chi si lamenta per l’eccessivo costo dell’utilizzo della moneta elettronica, ma di solito c’è un altro aspetto della questione che viene trascurato: il costo della produzione, del trasporto, della custodia e della gestione dei contanti.
Secondo l’Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano l’utilizzo del contante costa al sistema Italia quasi 10 miliardi l’anno. Non solo: la perdita più rilevante che deriva dall’utilizzo del denaro contante è il mancato gettito fiscale, che viene stimato in 24 miliardi l’anno. Secondo l’osservatorio del Politecnico il 34% del capitale che viene scambiato in contanti non è dichiarato al fisco e fa parte dell’economia sommersa.
In uno studio del Fondo Monetario Internazionale reso noto nel gennaio 2018 risulta che in Italia l’economia non registrata nel 2015 è stata il 22,7% del PIL, cioè 375 miliardi di euro. L’ultimo report della Commissione appositamente istituita per lo studio dell’economia non osservata e dell’evasione fiscale e contributiva ha calcolato il mancato gettito in 110 miliardi di euro. Le imposte più evase sono l’IVA e l’IRPEF, cioè le spese effettuati “in nero” e i redditi non dichiarati, cioè le entrate “in nero”. Ovviamente queste transazioni “oscure” avvengono utilizzando contanti, poiché non lasciano traccia.
Uno studio del 2017 di The European House – Ambrosetti, basato sui dati forniti dalla Banca Centrale Europea, mostra chiaramente l’esistenza di una correlazione tra il volume delle transazioni in denaro contante e il peso dell’economia illegale nei vari Paesi dell’Unione.
In Italia la percentuale dei consumi pagati in contanti è compresa fra il 40 e il 50%. Soltanto il 28% delle spese viene pagato con carta di credito o pagamenti digitali, mentre Il resto è pagato con bonifici o addebiti diretti sui conti bancari.
Secondo i dati del Politecnico di Milano sull’uso della moneta elettronica, l’Italia si colloca al 24esimo posto in Europa su 28 paesi presi in considerazione, con 220 miliardi di euro transati nel 2017 con poco più di 50 transazioni pro-capite all’anno. Al primo posto della classifica europea troviamo la Danimarca con 328 transazioni, poi la Svezia con 317 e la Finlandia con 279. La media europea è di 117,8 transazioni pro-capite, oltre il doppio della media italiana. Valeria Portale, che dirige l’Osservatorio di Milano, in una recente intervista al quotidiano Il Sole 24 Ore ha dichiarato: «La Svezia, ad esempio, è fra i Paesi in cima alle classifiche per pagamenti elettronici, e questo è dovuto ad azioni governative ad hoc che hanno portato al disincentivo dell’utilizzo del cash. Nei paesi dove, anche grazie ai governi, sono stati agevolati i pagamenti elettronici a discapito di quelli in contante, l’incidenza del nero è molto più bassa rispetto a paesi come il nostro. Per questo ritengo che l’idea di abolire il limite all’utilizzo del contante nasconda un bel rischio relativo all’aumento del nero, che poi si tramuta in mancato gettito fiscale».
Anche la Banca d’Italia conferma: «Il contante – si legge nel Rapporto annuale dell’Unità di informazione finanziaria di Palazzo Koch del 2017 – offre opportunità, in termini di ostacolo alla tracciabilità, per il perseguimento delle condotte a maggior rischio per il paese, come la corruzione e l’evasione fiscale».
In questa prospettiva non va dimenticato che se l’uso dei contanti favorisce l’illegalità, le mancate entrate fiscali vanno a sfavore dei cittadini onesti, che saranno costretti a pagare più tasse e avranno meno servizi pubblici.
Il più efficace contrasto alle scelte di chi sostiene la libertà assoluta di utilizzo del contante è dovuto all’evoluzione della tecnologia informatica. Anche in Italia i pagamenti digitali stanno diventando un’abitudine consolidata per molti consumatori e si sta diffondendo sempre di più l’utilizzo degli smartphone come strumenti di pagamento.
E’ noto che tutte le big company (da Google a Facebook a Apple) stanno investendo fortemente nel settore dei pagamenti digitali, segno evidente che una direzione è già stata tracciata a livello globale. Una strada avviata decisamente verso la riduzione o addirittura l’eliminazione del contante. Andare contro corrente rischia di essere tempo sprecato. Come l’idea di abolire i limiti al contante, che piacerebbe all’attuale Ministro dell’Interno del governo italiano.