Come combattere le stragi sul lavoro (oltre 1000 morti all’anno per infortuni e alcune migliaia per tumori professionali) è stato uno dei temi più rilevanti del Congresso Nazionale di Medicina Democratica svoltosi a Napoli a fine aprile. Da una parte i recenti infortuni lavorativi plurimi (Milano, Livorno, Bergamo, Carrara, Torino, fino ad arrivare a Padova e La Spezia) hanno risvegliato l’interesse della stampa e della TV sul problema e dall’altro le morti silenziose da amianto e cancerogeni che fanno notizia raramente ( vedi i morti Eternit di Casale, Bagnoli, Reggio Emilia, quelli Isochimica di Avellino e molti altri ancora) e solo grazie all’azione dei familiari delle vittime che lottano contro l’oblio.
A nostro avviso la causa principale di questa strage infinita è la perdita di coscienza e di potere dei lavoratori che li ha progressivamente portati ad accettare e a monetizzare il rischio
Le lotte in fabbrica del periodo 1969-1980 portarono a una presa di coscienza dei lavoratori sull’importanza della difesa della salute nei luoghi di lavoro ( va a questo proposito ricordato che Medicina Democratica nasce nel 1976, fondata tra gli altri da Giulio Maccacaro e Luigi Mara proprio dopo le lotte del 68-69 cui seguirono il Convegno della FIOM del 1972 e quello del PdUP del 1973.
Negli ultimi 30 anni sono finiti i Gruppi Omogenei, la soggettività operaia e la capacità dei lavoratori di ricostruire i cicli lavorativi e contrattare l’organizzazione del lavoro e questo fa sì che vengano accettate condizioni di rischio altissime dovute anche a ritmi e orari di lavoro impossibili, a dispetto di normative europee più avanzate, ma disattese dai datori di lavoro. Gli RLS sono figure prive di poteri e i Servizi di Prevenzione delle AA.SS.LL. sono a loro volta depotenziati.
La Magistratura ha spesso smarrito le competenze che aveva fino a qualche anno fa e le sentenze, in particolare quelle per le morti da amianto, ma non solo, sono quasi sempre sfavorevoli ai lavoratori: la recente vittoria in Cassazione per le morti nella Centrale ENEL di Turbigo rappresenta una splendida eccezione.
Anche l’INAIL riconosce le malattie professionali in percentuale molto bassa rispetto al numero di denunce ed è percepito dai lavoratori come un Ente a loro ostile. Che fare allora? Proviamo ad elencare alcune proposte che possono essere un punto di partenza purchè divengano oggetto di discussione per un’ ampia platea di soggetti: 1.Riformare profondamente l’INAIL rivedendone le competenze in merito alla modalità di riconoscimento delle malattie professionali per le quali bisognerà prevedere tabelle più ampie delle attuali 2.Istituire una Procura Unica Nazionale per gli infortuni e le malattie professionali (proposta Guariniello) 3. Reintrodurre l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori nella sua versione originale 4.Introdurre nell’ordinamento penale il reato di vessazioni e molestie morali sul lavoro e il reato di Omicidio sul lavoro 5. Emendare profondamente il DLgs 81/08 inserendo un’area specifica sul rischio da organizzazione del lavoro e dando più poteri ai Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza 6. Riformare il meccanismo della prescrizione il cui computo per gli infortuni più gravi, dovrebbe iniziare con la Sentenza di primo grado (Proposta Casson). Ma queste proposte anche se attuate non serviranno a molto se contemporaneamente non riprenderanno le lotte dei lavoratori italiani e immigrati per l’affermazione del diritto al lavoro, alla tutela sindacale, contro la precarietà, e contro la centralità dell’impresa e del profitto. Andrebbe inoltre recuperata la memoria storica, pur nelle mutate condizioni dell’oggi, anche attraverso meccanismi di trasmissione dei saperi, con la formazione di nuovi quadri operai di fabbrica e nel lavoro diffuso (vedi riders, lavoratori dei Call Center e affini) . Ma per questo occorrono un nuovo soggetto politico e un sindacato completamente rinnovato.
Gino Carpentiero – Medicina Democratica