“Ho il potere assoluto di concedermi LA GRAZIA (sic), ma perché dovrei farlo se non ho commesso nessun reato?” Così Donald Trump in uno dei suoi recenti tweet dichiarandosi in effetti in possesso di poteri assoluti incluso quello di autoassolversi. Si trattava di annunciare a tutti e specialmente a Robert Mueller, il procuratore speciale del Russiagate, che lui, da presidente è intoccabile.
Difficile sapere se il 45esimo presidente ci crede davvero. L’uso del termine “grazia” però è ricco di messaggi soprattutto per gli individui indagati dal procuratore speciale suggerendo che meglio non cooperare con Mueller perché il presidente degli Stati Uniti potrebbe fornire la scappatoia e far loro evitare il carcere.
Non ha funzionato però con Paul Manafort, ex direttore della campagna elettorale di Trump, il quale è indagato da Mueller e si trova adesso in carcere. Manafort, come si ricorda, è stato accusato di 12 reati incluso “cospirazione contro gli Stati Uniti”. Dall’ottobre del 2017 si trovava agli arresti domiciliari ma nelle ultime settimane aveva evidentemente cercato di influenzare alcuni testimoni coinvolti nel Russiagate. Mueller ha riportato e il giudice Amy Bernan Jackson ha deciso di revocare i domiciliari mettendo Manafort in carcere mentre egli attende non uno ma bensì due processi, uno a Alexandria, Virginia e l’altro a Washington D.C.
Manafort non ha cooperato con Mueller ma Trump non ha voluto intervenire e concedergli la grazia per reati che il suo ex direttore della campagna elettorale avrà commesso. Si crede, erroneamente che, la grazia viene concessa dopo la condanna, ma in realtà può avvenire prima. È successo in parecchi casi. Il più facile di ricordare è la grazia concessa dal presidente Gerald Ford al suo predecessore Richard Nixon nel 1974 per reati che questi avrebbe commesso da presidente. Trump non ha concesso la grazia a Manafort e sembra poco propenso a farlo come ci farebbe credere la sua dichiarazione che il suo ex collaboratore aveva lavorato per lui “solo brevemente” e non aveva avuto un ruolo determinante nella sua elezione.
Trump però nelle ultime settimane ha dimostrato che non esiterebbe a usare i suoi poteri di concedere la grazia. Lo ha fatto per il pugilista Jack Johnson e l’opinionista Dinesh D’Souza. Ha anche graziato Alice Marie Johnson dietro richiesta di Kim Kardashian West. Il Washington Post cita un funzionario della Casa Bianca informandoci che Trump adesso è “ossessionato” con il suo potere di concedere la grazia divenuta “una delle sue cose favorite”.
L’idea di mantenere viva la possibilità della grazia come scappatoia è stata reiterata da Rudolph Giuliani, uno degli avvocati di Trump per il Russiagate. L’ex sindaco di New York sembra avere assunto il compito di portavoce e opinionista del presidente sulla questione delle indagini di Mueller poiché è spesso attivo in vari programmi televisivi, radio e giornali. In un’intervista al Daily News, Giuliani, parlando del Russiagate, ha dichiarato che alla fine tutte queste “cose saranno spazzate via con alcune grazie presidenziali” ripetendo il messaggio a ex collaboratori di Trump attualmente indagati da Mueller di non cooperare. Ciononostante parecchi di loro hanno già confessato di avere commesso reati ed alcuni di loro stanno cooperando con gli investigatori per potersi ridurre o eliminare la possibilità del carcere. Il messaggio di non cooperare con la possibile grazia è valido anche per l’ex avvocato di Trump, Michael Cohen, il cui ufficio è stato perquisito dalla Fbi, sequestrando numerosi documenti potenzialmente compromettenti anche per Trump. Cohen, secondo la Cnn, sarebbe disposto a cooperare con Mueller sentendosi isolato dal presidente che lui aveva servito con assoluta fedeltà ma adesso apparentemente senza speranze di una grazia presidenziale.
Trump si aspetta fedeltà dai suoi collaboratori senza però dimostrare reciprocità come ci fanno capire i licenziamenti a raffica durante la sua amministrazione. Ma anche con i collaboratori attuali Trump ha rapporti che a volte ricevono complimenti effusivi ma anche rimproveri pubblici come nel caso di Jeff Sessions, il procuratore generale, e Kirstjen Nielsen, direttrice del Dipartimento di Homeland Security.
Il suggerimento di Trump dell’autoassoluzione ha avuto anche l’effetto di ricordare agli individui indagati da Mueller i supremi poteri presidenziali suggerendo addirittura una certa vicinanza monarchica del 45esimo presidente. In realtà, la questione del presidente di concedersi la grazia non è mai stata suggerita da nessun predecessore di Trump. La sua legalità è anche in dubbio. Laurence Tribe, Richard Painter e Norman Eisen, tre autorevoli avvocati costituzionalisti, hanno scritto nel Washington Post che la legge proibisce al presidente di autoassolversi di qualsiasi reato e per prevenire il suo impeachment e incriminazione. Jonathan Turley e Richard Posner, altri autorevoli costituzionalisti, sostengono che Trump potrebbe autoassolversi per reati eccetto nel caso dell’impeachment.
Sarebbe improbabile immaginare che Trump si autoassolva ma in tal caso la questione andrebbe a finire alla Corte Suprema. Che cosa deciderebbero i 9 giudici diventa impossibile prevedere. Di certo i padri fondatori non volevano fare del presidente un sovrano con poteri assoluti monarchici. Ciò non sarebbe dispiaciuto a Trump il quale ha espresso ammirazione per leader autoritari il cui potere si avvicina all’assolutismo. La costituzione americana ha però i suoi contrappesi per non cadere nel sistema assolutista dal quale i padri fondatori vollero allontanarsi. Una vittoria democratica alle elezioni di midterm questo novembre potrebbe mettere alla prova i poteri del presidente ma soprattutto dimostrarci che nonostante la sua fragilità il sistema democratico può reggere.