L’Associazione Liberarsi, la Comunità Papa Giovanni XXIII, l’Associazione Yairaiha e altri aderenti stanno organizzando il terzo giorno di digiuno nazionale per martedì 26 giugno 2018, data in cui l’ONU dedica una giornata alle vittime della tortura, quindi anche ai detenuti condannati alla pena dell’ergastolo.
La notizia che un ergastolano di 58 anni si è suicidato la sera del 5 giugno nel bagno della sua cella del circuito Alta sicurezza della casa circondariale Le Sughere di Livorno mi ha fatto ricordare quando anche io pensavo di farla finita. Gli uomini ombra (così si chiamano fra loro gli ergastolani) condannati alla “Pena di Morte Viva”, (così è chiamata la pena perpetua) che hanno scritto nel loro certificato di detenzione fine pena: anno 9999, sanno che solo la morte li può liberare. Per questo non c’è un ergastolano che non pensi tutti i giorni e tutte le notti di togliersi la vita, per poter così uscire dal carcere. Chi non ha il coraggio di suicidarsi, sogna di farlo. Anch’io per un quarto di secolo l’ho sognato spesso:
Decido di aspettare la mezzanotte.
Non c’è fretta.
Presto andrò in mezzo al nulla.
Questa è l’ultima notte della mia vita.
E posso fare le cose con calma.
Intanto la notte continua a scendere.
Il tempo sembra fermo.
I secondi sembrano ore.
E passano scanditi dai battiti del mio cuore.
Nel frattempo il buio s’infittisce sempre di più.
E un velo di tristezza mi cala sugli occhi.
Col passare dei secondi sento crescere sempre di più il desiderio di farla finita.
Forse non è l’unica scelta che ho, ma in questo momento non riesco a vederne altre.
Poi annuso l’aria.
Odora di tristezza.
Mi viene in mente che questa è l’ultima aria che respiro in questa vita.
Alzo gli occhi al cielo.
E lo abbraccio.
Mi accorgo che è sgombro di nuvole.
E le stelle sembrano coriandoli.
A un tratto la luna illumina le sbarre della mia finestra.
E subito dopo il mio viso.
Allungo le mani oltre le sbarre.
E provo un senso di libertà.
Penso che sia una bella serata per morire.
Sembra che la morte mi chiami.
O forse sono io che chiamo lei.
Chiudo gli occhi, per un tempo che mi pare lunghissimo.
Poi li riapro.
Mi passo una mano sui capelli.
E penso che domani sarò in un altro posto.
Sarò in un altro mondo.
Sarò nell’aldilà.
Probabilmente sarò all’inferno.
Poi mi allontano dalla finestra.
Afferro con le mani la mia tristezza.
Alzo il materasso.
Prendo la corda che ho tessuto con il lenzuolo.
E la lego alle sbarre.
Prendo lo sgabello.
Ci salgo sopra.
Controllo il nodo scorsoio.
È perfetto.
E me lo infilo in testa.
Sono pronto.
Non lo è però il mio cuore.
E mi metto a fissare un punto davanti a me nel cielo.
Nel frattempo il mio cuore inizia a parlarmi.
– Vigliacco …
È arrabbiato.
– Da quando sei nato, hai sempre lottato per sopravvivere …
E incomincia a rimproverarmi.
– Adesso invece ti stai ammazzando da solo.
A battere da una parte all’altra.
– Figlio di puttana.
Con disperazione.
– Perché mi vuoi far morire?
E ira
– Che ti ho fatto di male?
Probabilmente batte così forte perché sa che questi sono i suoi ultimi colpi.
Sono in debito con il mio cuore.
– Mi dispiace più per te che per me …
È una vita che mi sostiene.
– Ma in carcere per essere libero, devi saper perdere …
Provo a consolarlo:
– Perché contro la pena dell’ergastolo non puoi vincere.
E a convincerlo che la mia sia la scelta giusta.
– E soprattutto non voglio passare gli ultimi anni della mia vita in una lurida cella.
Poi inizio ad accarezzarlo.
– Fra la libertà che ti dà la morte e la non vita che ti offre il carcere…,
A sussurrargli parole dolci:
– Scelgo di morire.
Respiro a fondo.
E mi colpisce un vortice di pensieri.
Sono ancora in tempo per ripensarci.
Posso ancora tirarmi indietro.
E scegliere di vivere.
Io però voglio morire.
Per farmi coraggio ripeto a me stesso che non voglio invecchiare stanco e ammalato murato vivo fra quattro mura.
Non voglio dare questa soddisfazione all’Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io)
Preferisco morire piuttosto che vivere un’esistenza senza vita.
Rilasso i muscoli.
Trattengo il fiato.
Mi rivolgo al mio cuore:
– È ora di andare.
Poi apro le braccia.
Lascio andare il mio cuore.
Do un calcio allo sgabello.
E riesco a pensare che ormai è troppo tardi per ripensarci.
Poi avverto un forte dolore.
Come se dentro di me qualcosa si strappasse.
I muscoli del collo mi si contraggono.
I polmoni iniziano ad annaspare cercando aria.
Le gambe a tremare.
La vista mi si offusca.
E capisco che ormai sono più vicino alla morte che alla vita.
Il mio cuore però non vuole sapere di smettere di battere.
E di morire.
Per questo tenta di convincere i polmoni a continuare a respirare.
E cerca di sopravvivere ancora qualche istante.
Poi si rassegna.
E inizia a perdere i colpi.
Prima uno.
Poi un altro ancora.
E un altro ancora.
Subito dopo cade in un vuoto nero.
Profondo.
Io non voglio lasciarlo.
E il mio cuore non vuole lasciare me.
Alla fine ci convinciamo tutte e due.
Io vado da una parte.
E il mio cuore dall’altra.
Poi mi sveglio e mi accorgo purtroppo di essere ancora vivo.