Nel discorso di insediamento il neo eletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella presentandosi al Parlamento disse: «Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro.. È una immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza. Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione. La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione».
Nella vicenda che ha portato alla rinuncia di Giuseppe Conte di formare un Governo, a causa del parere negativo del Presidente della Repubblica alla nomina di un Ministro, occorre chiedersi se Sergio Mattarella abbia rispettato e applicato la Costituzione oppure no.
L’articolo 92 della Costituzione recita: «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri». La nomina dei ministri, secondo la giurisprudenza costituzionale, non è una mera formalità: il Capo dello Stato può anche opporsi alla designazione di un Ministro da parte del Presidente del Consiglio, chiedendo che venga indicato un altro nome. Infatti, ci sono almeno tre precedenti storici a dimostrare che la nomina dei Ministri non debba essere intesa come un atto di ratifica formale di decisioni prese altrove.
Per il primo precedente bisogna risalire al 1994, quando Silvio Berlusconi, con i suoi alleati, disponeva della maggioranza parlamentare. Di conseguenza fu incaricato dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro di formare il Governo. Quando Berlusconi propose il nome di Cesare Previti, suo avvocato, come Ministro di Grazia e Giustizia, Scalfaro si oppose a questa indicazione per quel ministero. In quel caso Berlusconi prese atto della contrarietà di Scalfaro e indicò come guardasigilli Alfredo Biondi (Previti diventò ministro della Difesa).
Il secondo precedente risale al 2001: il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi rifiutò il nome di Roberto Maroni come Ministro della Giustizia del secondo governo Berlusconi. Maroni venne dirottato al ministero del Lavoro, mentre alla Giustizia andò un altro esponente della Lega, Roberto Castelli.
L’ultimo precedente è del 2014: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sconsigliò a Matteo Renzi di nominare il procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri come Ministro della Giustizia. Renzi accettò l’obiezione di Napolitano e nominò alla Giustizia Andrea Orlando.
Come si può notare gli ultimi tre predecessori di Mattarella utilizzarono la prerogativa costituzionale di nomina dei Ministri per evitare alcune collocazioni sgradite. Non risulta alle cronache che vennero sollevate significative obiezioni. In tutti e tre i casi, il Presidente del Consiglio incaricato prese atto e si adeguò alle decisioni del Capo dello Stato.
Invece, con il diniego di Sergio Mattarella alla nomina di Paolo Savona Ministro dell’economia nel Governo presieduto da Giuseppe Conte, si è realizzato il primo caso in cui un Presidente del Consiglio incaricato abbia deciso di rimettere l’incarico nelle mani del Presidente della Repubblica.
Evidentemente per Giuseppe Conte (e per i partiti che lo sostengono) la collocazione di una persona in un determinato posto di Ministro è da ritenersi più importante della realizzazione di un programma di Governo. Di questa scelta, assai poco responsabile, Sergio Mattarella non ha potuto far altro che prendere atto e dare l’incarico di formare un Governo ad altri.
Occorre ricordare che le Costituzioni servono anzitutto a garantire a tutti i cittadini i diritti, evitando gli abusi di potere. Pertanto, ogni Costituzione contiene un sistema di regole che dividono e limitano tutti i poteri, compreso quello della maggioranza.
Già l’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1789 affermava che «ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata e la separazione dei poteri non è determinata, non ha una Costituzione». Il che spiega perché nella Costituzione italiana si affermi che la sovranità appartiene al popolo, ma il suo esercizio deve avvenire nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1). Montesquieu addirittura sosteneva che «se il potere esecutivo fosse affidato a un certo numero di persone tratte dal corpo legislativo, non vi sarebbe più libertà», essendo i due poteri uniti.
Può capitare che l’arbitro di una partita di calcio fischi un fuorigioco. L’arbitro può avvalersi della segnalazione del guardialinee o visualizzare le riprese dell’azione alla moviola. Alla fine decide se si tratta di fuorigioco oppure no. Ovviamente l’arbitro può sbagliare. La sua decisione si può criticare. Ma nessuno ha mai pensato che l’arbitro non abbia il diritto, anzi il dovere di fischiare un fuorigioco se in questo modo viene valutato.
La metafora calcistica ben si addice a quanto accaduto ieri tra Mattarella e la squadra mista Lega-M5S, che si è presentata in campo con Giuseppe Conte con la fascia di capitano (che è quello che va a parlare all’arbitro a nome di tutta la squadra).
Chi oggi propone di mettere sotto accusa e processare il Presidente della Repubblica per le scelte compiute «nell’esercizio delle sue funzioni» (art. 90) dimostra di non conoscere la Carta costituzionale. Che andrebbe osservata da tutti (art. 54), non soltanto dal Presidente Mattarella.