In un recente articolo, avevo espresso la mia fiducia sull’operato del presidente canadese, pensando che il suo governo potesse davvero significare un cambio di rotta nelle relazioni tra stato e nazioni native americane. Mi sbagliavo.
Ad ingannare me e gran parte delle comunità indigene nordamericane era stato l’atteggiamento sempre amichevole e aperto al dialogo nei confronti di queste ultime, tenuto da Trudeau, a partire dalla sua campagna elettorale. Il sogno di vedere queste popolazioni al centro della vita politica del paese nato sulla terra che abitano da millenni sembrava si stesse lentamente avverando. Un passo decisivo in questa direzione era stata l’approvazione del disegno di legge C-262, che prevedeva l’aggregazione della Dichiarazione dei Diritti delle Popolazioni Indigene alla legge del paese.
Purtroppo la legge canadese vista dalla prospettiva delle multinazionali che hanno interesse ad investire nel suo (sotto)suolo, non è altro che un insieme di parole su un pezzo di carta. Fatta la legge, si trova l’escamotage per aggirarla: nulla di più semplice.
Il fatto al quale mi sto riferendo riguarda il nuovo progetto che prevede l’allargamento della Trans-Mountain Pipeline, oleodotto già esistente che collega le regioni dell’entroterra con la British Columbia, che offre uno sbocco diretto sull’Oceano Pacifico. Trudeau, contrariamente a quanto prevede la legge ma in linea con l’atteggiamento menefreghista del governo nei confronti dei diritti dei nativi, sta cercando in tutti i modi di supportare il progetto, che avrebbe un grosso impatto sia economico (5.7 miliardi di dollari) sia soprattutto ambientale nella regione. Il progetto triplicherebbe la quantità di greggio trasportata dall’entroterra sulla costa, e il tracciato dell’oleodotto passerebbe – guarda un po’ – nei territori abitati dalle popolazioni indigene; nello specifico, in quelli di proprietà della nazione Secwepemc.
Ancora una volta, gli interessi della Kinder Morgan, compagnia che ha realizzato il primo oleodotto e che ha presentato il progetto di allargamento, sono più che chiari e si sposano perfettamente con quelli del Canada. L’esportazione di greggio verso gli stati di California e Washington, oltre che in Asia, è infatti da sempre una risorsa economica fondamentale per il paese.
E’ per questo motivo che Trudeau ha dichiarato in una recente intervista che la costruzione dell’oleodotto sarebbe “nell’interesse del paese”. Ciononostante, lo stato dell’Alberta si è opposto alla realizzazione del progetto, affermando che l’aumento del materiale trasportato coinciderebbe con l’aumento del rischio di fuoriuscita di greggio. Queste motivazioni non sono solo semplici supposizioni: è infatti noto che gli oleodotti rispettino solamente dal punto di vista teorico le norme di sicurezza necessarie alla loro costruzione. Negli ultimi anni, si sono infatti registrate parecchie perdite di materiale in oleodotti sia nel nord degli Stati Uniti sia in Canada: ciò avviene come ricordato precedentemente sia a causa di negligenze durante la loro realizzazione, sia per la scarsa supervisione dei condotti negli anni successivi.
Nel codice di condotta ed etica della Kinder Morgan, la compagnia texana si ripromette di osservare e rispettare le leggi dei paesi nei quali opera, di rispettare i diritti umani fondamentali e di mettere in primo piano le questioni ambientali nella realizzazione dei propri progetti, in linea con un tipo di sviluppo sostenibile. A fronte dell’operato reale dell’azienda, queste dichiarazioni risultano offensive ed irrispettose nei confronti delle nazioni di Nativi Americani che vivono nell’area: essi sono stati infatti quasi totalmente ignorati nello sviluppo del dibattito riguardante la realizzazione del progetto. L’unica volta che la nazione Secwepemc è stata interpellata, solo tribù 3 su 17 si sono pronunciate a favore del piano.
Prendere questa decisione unilateralmente vorrebbe dire ignorare la Dichiarazione dei Diritti delle Popolazioni Indigene che, come già detto, è da poco entrata a far parte della legge canadese. La Kinder Morgan ha annunciato che, se non avrà il via libera entro fine maggio 2018, abbandonerà il progetto; il fatto che sia la stessa compagnia a porre degli ultimatum al governo ci deve fare riflettere sull’effettiva distribuzione del potere in Canada, e sull’influenza che le multinazionali, canadesi e non, esercitano nel paese.