In che direzione sta andando il mondo?
Beh… se volevamo la conferma che ormai le decisioni importanti le prendono i mercati, gli ultimi avvenimenti politici accaduti in Italia, che hanno visto nominare a mandato per la formazione di Governo un tecnico funzionario del Fondo Monetario Internazionale al posto di un Governo neo eletto che andava nascendo, dovrebbero toglierci ogni residuo dubbio.
Non stiamo parlando di una questione di colore politico, il colore politico del neo Governo eletto nascente avrebbe potuto essere di qualsivoglia genere, il contenuto e il dato resterebbero identici, ovvero, che per la prima volta in modo esplicito e dichiarato, in un paese dell’Unione Europea, si sono anteposte garanzie a vantaggio dei mercati piuttosto che a vantaggio del rispetto di un principio di sovranità popolare, esplicitato col voto una volta ogni 5 anni.
Non è che si sia arrivati a questo così, per un caso, oppure dall’oggi al domani, no, è stato un processo graduale, una catena di passi.
L’era dei conglomerati economici così per come oggi la conosciamo ha avuto il suo embrione prima della seconda guerra mondiale, poi si è strutturata nel primo dopoguerra, si è messa in funzione e ha stabilito ferme basi logistiche transnazionali negli anni 60′ , ’70 e ’80, diventando completamente operativa in tutta la sua potenza a partire dagli anni ’90 dopo la caduta del blocco sovietico.
Il potere adesso non è più di tipo rappresentativo o elettivo, non è più localizzato geograficamente (contrariamente a ciò che accade negli Stati-Nazione) ma viene esercitato globalmente e direttamente da coloro che controllano il mercato finanziario e la produzione di merci.
Gli strumenti di questo potere sono il controllo della tecnologia, dell’energia, del denaro e dell’applicazione dei tassi, il controllo del debito come strumento di ricatto, il controllo dell’informazione, della ricerca e dello sviluppo, dell’innovazione, dell’accesso alle risorse e, ovviamente il controllo dei mezzi di produzione.
Come ogni nuova forma di potere, essa cresce e si erige sostituendosi al potere precedente – in questo caso agli Stati-Nazione – togliendogli via via autonomia e potere decisionale.
Questo nuovo potere è globale, è planetario, costituisce un nuovo livello di organizzazione che usa l’economia come strumento politico, perché di fatto impone politiche e determinate scelte e decisioni a intere società composte da milioni di persone, a interi Stati-Nazione e persino a federazioni di Nazioni vedi Stati Uniti d’America e Unione Europea.
Coloro che propugnano i metodi e l’ideologia di questa forma mentis politico-economica, a tutti gli effetti fanno politica, né più né meno a quella che potrebbe fare un leader di partito che vada al Governo di un Paese, ma, ovviamente, disponendo di molti più mezzi economici, risorse, appoggi, strumenti e dovendo rispondere a molte meno regole e forme di controllo. L’applicazione di forme di pressione economica – una su tutte quella esercitata attraverso il debito – rappresenta uno degli strumenti più forti di cui dispone la politica del libero mercato. La frase del commissario UE Oettinger (al di là di scuse e correzioni successive), “I mercati insegneranno agli italiani a votare in modo giusto”, rappresenta un esempio lampante di questa pressione economica, pressione che riescono a esercitare per modificare le decisioni di Stati interi, solo che questa volta ha fatto scalpore perché è stato esplicitato ciò che finora veniva taciuto.
Ma il libero mercato va oltre, dispone ormai da tempo anche del controllo dell’informazione, della creazione di precise scuole economico-politiche dove viene formata la futura dirigenza, dell’imposizione di politiche sociali attraverso una nuova distribuzione delle risorse, o peggio ancora negandone l’accesso.
Non ci dobbiamo sbagliare, è fallace e fuorviante credere che si tratti di economia, si tratta di politica vera e propria, e anche di quella forte, ultimamente pure autoritaria; smettiamo di commettere questo grave errore di valutazione, perché è proprio grazie a questo equivoco ed errore, è in virtù di questo celarsi dietro al dire che “sono questioni economiche o di mercato” che questa politica neoliberista è cresciuta così tanto a dismisura, sopravanzando Stati e popoli interi nelle loro decisioni.
Affermando che si tratta solo questioni di natura economica, sono cresciuti indisturbati per oltre 70 anni, con altre regole, che non sono certo quelle elettive democratiche a suffragio universale, né quelle costituzionali, più o meno garantite dalla Costituzione di un qualunque Stato.
Partono dall’idea, e la propagandano con efficacia, che la risoluzione dei grandi problemi economici, sociali, politici ed ecologici non possano essere certo affidate alle masse bensì vadano decise all’interno di una ristretta élite di persone, coadiuvate magari da professionisti del settore, di “addetti ai lavori” di “tecnici nominati”, ecc.
Per poter applicare le proprie politiche e regole globali, ovviamente necessitano di una forma di potere globale, transnazionale.
E’ buffo sapere – come dato storico -, che un tempo in questi circoli decisionali ristretti l’unificazione del mondo attraverso l’economia, con conseguente declino degli Stati-Nazione, fu in parte deciso adducendo una nobile causa: rendere impossibile una nuova guerra mondiale che, nell’era atomica, avrebbe significato la fine della civilizzazione. Ma è ancora più buffo, per non dir triste, che da allora gli armamenti e le guerre, contrariamente a quanto venne dichiarato in quella sede, siano cresciuti a dismisura in nome proprio dell’immensa e incontrollata libertà del libero mercato globale.
Ma la questione non è nemmeno più questa, la questione è ormai altra, perché questo processo di globalizzazione in buona parte è irreversibile; il tema centrale è sapere al servizio di quali obiettivi e di quali interessi è volto questo potere globale, da chi deve essere esercitato e da quale contro-potere deve essere bilanciato, contro-equilibrato e controllato.
In ogni forma di monopolio e dove non c’è alternativa si creano sempre enormi squilibri, sproporzioni, perdita di ogni forma di controllo, di ogni diritto persino individuale, insieme a un’attuazione esagerata e soffocante del potere che viene concentrato in poche mani, che operano indisturbate senza nessuna forma di controbilanciamento.
La globalizzazione in sè non sarebbe una cosa negativa, potenzialmente, se fosse usata bene, potrebbe permettere una forma di pace mondiale, durevole e una miglior gestione delle risorse collettive.
L’enorme problema che abbiamo davanti è che se continua ad essere organizzata e controllata al solo beneficio di una piccola minoranza di persone, se conserva la sua attuale direzione neo-liberista oltranzista, che ha assunto carattere di fanatismo incontrollato, non tarderà molto ad instaurare una nuova specie di totalitarismo, però questa volta globale, quello del commercio integrale, della mercificazione di tutto, di ogni cosa, persino degli esseri viventi, dello stesso essere umano, oltre che dei suoi bisogni primari; giacché scopo principale è il profitto, non il benessere delle persone, le garanzie vengono offerte ai mercati, non ai diritti dei popoli, e ancora meno ai diritti degli individui.
L’altro aspetto di cui c’è seriamente da preoccuparsi è che in nome della proprità data alle garanzie e ai diritti del libero mercato, anche la natura stessa, finanche la sua distruzione, sono sacrificabili e passano in secondo piano rispetto ai diritti inarrestabili e “inalienabili” del libero mercato, considerati diritti preminenti su tutto, persino su quelli individuali delle persone o su quelli sovrani di un popolo.
Qua non si tratta più di vedere le cose da un punto di vista di sinistra, di destra, di centro, oppure anarchico.
La domanda da porsi è di tipo antropologico e sociale, bisogna chiedersi se le nostre generazioni e ancor più quelle che verranno, vogliano vivere e se vogliamo che vivano in un mondo dove l’essere umano diventi mezzo, motore di crescita e di mantenimento di un totalitarismo retto dal concetto del “prima le merci!” e poi, in secondo, terzo, o quarto piano, l’essere umano e il nostro stesso pianeta.
In definitiva, se la globalizzazione continua ad avere questa direzione elitaria in modo permanente, si verrà a creare una forma inedita di schiavitù, che vedrà da un parte orde di consumatori non pensanti che lavorano e si azzuffano per consumare qualcosa e avere accesso a un minimo di risorse vitali e dall’altra la produzione e il grosso dell’accesso alle risorse controllati a livello globale da uno sparuto gruppo di persone.
Non credo che nella storia si sia mai vista una forma sociale più oligarchica di questa che si va prospettando.
A noi sta il vitale compito di rendercene almeno conto, di parlarne, di riconoscere la direzione che la barca mondiale ha intrapreso. Un primo importante punto di partenza è esserne quanto meno consapevoli, perché solo da una generale consapevolezza possono nascere delle domande e, dalle domande, possibili risposte alternative.