Una scuola espone lo striscione “Verità per Giulio Regeni”, un’università dedica a Giulio una biblioteca, altre s’impegnano a finanziare borse di dottorato di ricerca perché siano proseguiti i suoi studi, in una sala conferenze si parla di lui e di come andare avanti, i suoi genitori sono invitati in ogni luogo.
Oggi saranno trascorsi due anni e due mesi esatti dal giorno in cui venne ritrovato, alla periferia del Cairo, il corpo orrendamente torturato di Giulio. Quel giorno partì la campagna “Verità per Giulio Regeni”.
La mobilitazione per far coincidere la verità processuale con quella “storica”, cui sono da tempo giunti coloro che conoscono bene la situazione dei diritti umani in Egitto, ovvero che si sia trattato di un omicidio di stato, non deflette, non perde intensità.
Vi prendono parte sempre in molti, sia rilanciandola sui social che partecipando alle varie iniziative organizzate pressoché quotidianamente in tutta Italia.
Nel rumore di questa mobilitazione, nel colore “giallo di Giulio” che dipinge il paese c’è un’assenza grave: quella di chi questo paese sta terminando di governarlo e di chi sta competendo per dirigerlo in futuro.
La campagna elettorale italiana ha avuto un effetto paralizzante. Si contano sulle dita di una sola mano le citazioni e i riferimenti a Giulio e alla necessità di portare avanti l’azione per conoscere i nomi dei mandanti, degli autori e degli insabbiatori del suo sequestro, della sua tortura e del suo omicidio. Il governo uscente tace da mesi mentre al Cairo l’ambasciatore Cantini ha ormai completato – dopo un semestre di ritrovato feeling – la normalizzazione dei rapporti tra Italia ed Egitto.
Ieri, nell’ambito di un entusiastico messaggio di congratulazioni al suo omologo al-Sisi per il successo elettorale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha auspicato che si arrivi alla verità.
Ma ciò ovviamente non basta. Spetterà al nuovo governo, a prescindere da chi lo guiderà e lo comporrà, far rientrare la verità per Giulio al centro degli interessi nazionali dell’Italia.
Guai a mollare la presa proprio ora, a inaugurare una stagione di mera e dannosa commemorazione, in nome di un realismo compromissorio e meschino, in nome del “figurati se questo governo farà qualcosa” o del mai domo “chi siamo noi per chiedere all’Egitto la verità”.