Violare i diritti umani costa. E anche molto. Secondo il nuovo rapporto annuale del Consiglio d’Europa sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani pubblicato ieri a Strasburgo, gli stati membri dell’organizzazione dovranno pagare ai cittadini complessivamente oltre 60 milioni di euro pubblici a titolo d’indennizzi per aver violato la Convenzione europea dei diritti umani.
Tra i 47 stati membri condannati a pagare di più ci sono la Russia (14,5 milioni), l’Italia (oltre 12,5 milioni) e la Turchia (11,5 milioni).
Nel 2016 gl’indennizzi ammontavano a 82 milioni di euro, mentre nel 2015 erano 53 milioni. Dal 2010 il totale degli indennizzi stabilito dalla Corte raggiunge oltre i due miliardi e mezzo di euro, in ragione soprattutto della somma record di 1,8 miliardi di euro alla quale la Corte ha condannato la Russia nel 2014 nel caso Yukos.
Oltre a presentare i dati sugli indennizzi, il rapporto fornisce una panoramica delle recenti tendenze nel processo di esecuzione delle sentenze della Corte, nonché numerosi esempi di riforme che sono state introdotte e dati paese per paese sul numero di casi nuovi, pendenti e chiusi.
Il rapporto, pubblicato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, l’istituzione che rappresenta tutti i 47 stati membri dell’organizzazione e che supervisiona l’attuazione delle sentenze della Corte europea dei diritti, sottolinea che un numero record di oltre 3.600 casi in attesa d’esecuzione sono stati chiusi. Ciò rappresenta una diminuzione del 24% del numero totale dei casi pendenti.
Alla fine del 2017 i casi pendenti erano 7.584, rispetto a circa 11.000 casi tre anni prima. Dei casi pendenti alla fine dello scorso anno, 1.379 erano casi che evidenziavano importanti problemi strutturali, mentre gli altri erano principalmente casi di natura ripetitiva.
In un comunicato stampa, il Consiglio d’Europa afferma che “le riforme in corso, il miglioramento della cooperazione con le autorità nazionali e le modifiche alla politica per chiudere i casi in attesa d’esecuzione, hanno contribuito all’elevato numero di chiusure nel 2017.
In molti paesi sono stati inoltre registrati progressi significativi nella risoluzione di problemi spesso di vecchia data, compresi quelli relativi alle azioni della polizia e delle forze di sicurezza, l’efficienza del sistema giudiziario e le pessime condizioni di detenzione.
Ciononostante rimangono importanti sfide per garantire che le riforme avvengano in modo rapido ed efficiente, per fornire tempestivamente ricorso ai richiedenti e per prevenire casi ripetitivi. Nuovi problemi complessi vengono anche costantemente esposti dinanzi al Comitato, come quelli relativi ai conflitti non risolti in Europa”.
Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione distinta dall’Unione Europea. Fondato nel 1949 e con sede a Strasburgo (Francia), promuove la difesa dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto nei suoi 47 stati membri. Ogni stato ha l’obbligo di eseguire le sentenze della Corte ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione europea dei diritti umani. Questo processo è supervisionato dal Comitato dei Ministri, che si riunisce regolarmente per esaminare i progressi sui casi in sospeso.