Gertrude Stein: “Civilization begins with a rose. A rose is a rose is a rose is a rose. It continues with blooming and it fastens clearly upon excellent examples.” (As Fine as Melanctha)
Sì, “una rosa, è una rosa, è una rosa”: È la nostra Rosa Genoni. Abbiamo voluto ricordarla alla Casa delle Donne di Milano perché amiamo tutto di lei: l’impegno sociale, la lotta tenace contro l’interventismo nella prima guerra mondiale, anzi contro ogni guerra, la visione socialista della società e le realizzazioni umanitarie. Che oggi prevalga la celebrazione del suo talento nel mettere a frutto una creatività innata incontra, in un felice connubio, lo spirito della Casa delle Donne: pensiero e azione. Ma tutto cominciò con un’altra storia.
Succede che Milano, città generosa in modo schivo ma concreto, offra strutture di accoglienza per richiedenti asilo di provenienza soprattutto africana. Le sedi si trovano in edifici sequestrati alla ‘ndrangheta, dove si organizzano corsi di formazione professionale che permettano alle persone ospitate d’inserirsi nel mondo del lavoro. In una di queste, Villa Amantea, è sorto l’atelier di sartoria Maison Abi, dal nome di colei che lo dirige.
Di recente le sue residenti nigeriane hanno chiesto (e ottenuto) di organizzare alla Casa delle Donne una festa per condividere la gioia della liberazione dal juju, giuramento rituale che le poneva alla mercé dei criminali della tratta, pena maledizioni e disgrazie per sé e per le loro famiglie. Da questo primo contatto si è sviluppato un intreccio di dinamicità affini.
Qual è la realizzazione pratica più importante di Rosa Genoni? La fondazione della sartoria per le donne carcerate di San Vittore.
Chi sono oggi le prigioniere del sistema internazionale che costringe intere popolazioni africane a fuggire dai Paesi d’origine e a cercare rifugio in Europa? Le donne costrette a pagare con il proprio corpo il presunto viaggio “della salvezza”.
Da qui l’idea. E se, raccontando la vita e l’operato di Rosa Genoni, l’inventrice del Made in Italy, sottolineassimo il parallelo con le creazioni sartoriali di Villa Amantea? Interpellate in proposito, sia Raffaella Podreider, presidente dell’Associazione Amici di Rosa Genoni, sia Elisabetta Invernici, giornalista curatrice di un importante convegno agli Archivi Storici di via Senato, hanno aderito senza indugi. E il direttivo della Casa delle Donne ha deliberato nel giro di poche ore.
Così, il 17 aprile è diventato un appuntamento ricco di sorprese, originali e nuove nell’ambito della fashion week di Milano. La novità nasce da un’idea di Elisabetta Invernici di “contaminare” gli stili, sicché il binomio Villa Amantea e Rosa Genoni (1867-1954) si arricchisce dell’allusione all’Africa della quasi coeva Karen Blixen (1885-1962) che ebbe a dire: “L’aria, in Africa, ha un significato ignoto in Europa: piena di apparizioni e miraggi, è, in un certo senso, il vero palcoscenico di ogni evento”.
Ed ecco dunque un “palcoscenico” africano alla Casa delle Donne di Milano!
Nel pomeriggio, dopo un turbinio di prove abiti che uniscono il fascino etnico con l’epoca a cavallo tra fine Ottocento e primo Novecento, tutto è pronto. Anita Sonego, presidente della Casa delle Donne, dà il benvenuto. Dopo di lei, Patrizia Ricciardi, presidente di Villa Amantea, ne spiega il programma e gli obiettivi. A seguire, secondo una consuetudine ormai consolidata, il coro Il mio canto libero, condotto da Marcella Inga, si è esibito con un breve repertorio di canti operai e femministi.
Poi, sulle note di Fiorenza Bucciarelli, che interpreta al pianoforte brani di Mozart, Rossini, Cilea e altri compositori, Elisabetta Invernici introduce l’argomento e i relatori. Raffaella Podreider proietta slide che illustrano la biografia della celebre nonna, Rosa Genoni. Due rappresentanti della Cooperativa Sociale Alice parlano della moda in carcere ieri e oggi. Infine Chiara Ceretti dell’Associazione Irene ne spiega il motto: Cucire per farsi del bene. Fin qui tutto interessante, come sempre accade nelle tavole rotonde su personalità e iniziative sfaccettate che offrono molteplici suggestioni.
A questo punto la sorpresa, il filo rosso della Storia che si dipana inanellando tutti gli elementi. Sfilano gli abiti africani, rivisitati in chiave primo Novecento e il silenzio del pubblico è interrotto soltanto dagli applausi all’apparire di ogni modella. Un bel momento, quasi di pathos. Sentiamo la sorellanza con le donne a cui è dedicato l’evento e ci piace pensare per un attimo che l’Africa non sia un continente devastato dall’intromissione e dalla cupidigia dell’Occidente, bensì un luogo di variegata bellezza, di colori, di allegria, di umanità che farà la Storia futura.
http://www.casadonnemilano.it/quel-pomeriggio-abbiamo-osato-essere-felici/