Il 19 gennaio 2018 le Forze armate turche hanno iniziato un’operazione militare nel cantone di Afrin, nella Siria settentrionale. La Turchia ha dato all’operazione il nome in codice di “Ramoscello d’Ulivo”. L’offensiva ha come obiettivi principali il Partito dell’Unione Democratica in Siria (PYD) e la sua ala armata Unità di Protezione Popolare (YPG), oltre che le posizioni delle Forze Democratiche Siriane (SDF) che circondano la città siriana di Afrin.
Le forze turche sostengono inoltre di combattere contro l’ISIS, anche se secondo alcune fonti l’ISIS non è presente nella regione. Afrin e l’area circostante sono reclamate dal Sistema Federale Democratico della Siria del Nord (Rojava).
L’operazione militare ha avuto una durata superiore ai due mesi. Oggi le forze armate provenienti dalla Turchia si trovano in centro città. I combattenti dello YPG e SDF si sono ritirati da Afrin quando le forze straniere sono entrate in città dichiarando ufficialmente di aver preso una misura del genere per non rischiare danni alla popolazione locale. Invece secondo il governo centrale della Repubblica di Turchia l’operazione “Ramoscello d’Ulivo” aveva raggiunto il suo obiettivo.
Per il governo che, insieme al suo nuovo alleato, il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), questo intervento radicale in Siria è stato necessario perché le forze YPG e SDF sono state sin dall’inizio definite come “forze terroristiche” e “vicine ideologicamente al PKK”. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) viene definito come un’organizzazione terroristica dalla Repubblica di Turchia perciò la presenza di una forza armata lungo il confine nazionale da 900 chilometri è considerata una minaccia.
Infatti nel periodo verso l’operazione militare ad Afrin, diversi esponenti del governo e numerosi media main stream parlavano degli attacchi che il paese sul confine subiva grazie agli spari e razzi lanciati dalla parte siriana. Secondo il portale di notizie Ahval, i numeri annunciati dagli alti esponenti dello Stato erano intorno ai 700 attacchi e colpivano le zone di Hatay e Kilis in Turchia. Tuttavia il 21 marzo BBC Reality Check ha fatto un lavoro di fact checking ed ha scoperto che i numeri comunicati dalla Presidenza delle Forze Armate Turche parlano in realtà di 26 attacchi. Anche se il Ministero degli Affari Esteri conferma alla giornalista Irem Koker che le Forze Armate tengono il conto di ogni sparo, i numeri ufficiali non corrispondono a quelli diffusi da altri esponenti dello Stato e dai media.
La stessa confusione/contraddizione è stata sperimentata anche sui prodotti audiovisivi. Secondo le agenzie di notizie vicine alle forze siriane locali, come ANF, Anha e Mezopotamya Ajansi, durante le operazioni sono stati uccisi numerosi civili. Invece il governo insieme alle Forze Armate hanno sistematicamente smentito le notizie. Esattamente come è accaduto il 15 febbraio in Germania. Durante la conferenza stampa tenuta dai primi ministri della Turchia e della Germania il giornalista Armanc Agid Nerweyi ha esposto una serie di fotografie rivolgendosi al primo ministro turco. Mentre Nerweyi sosteneva che fossero fotografie dei civili uccisi ad Afrin, il capo del governo Binali Yildirim accusava il giornalista di utilizzare delle prove false.
In tutto questo periodo caotico, veloce e di guerra una parte della società civile senz’altro sosteneva le politiche del governo. In prima linea ovviamente c’erano i media main stream.
Sin dai primi anni dell’operato del governo i principali giornali nazionali, canali televisivi e radiofonici, le agenzie di notizie e diversi portali web, in modo sempre più evidente, hanno sostenuto le politiche sociali ed economiche del governo. Le motivazioni di questa scelta sono numerose: convenienza economica, legami parentali, allineamento ideologico oppure semplicemente paura.
In questa serie di articoli cercherò di mostrare come la maggior parte dei media ha sostenuto l’operazione militare “Ramoscello d’ulivo” ad Afrin. Quindi come la stampa cartacea o quella audiovisiva ha contribuito alla creazione e alla divulgazione della propaganda per la guerra. Ovviamente oltre il lavoro dei media e le posizioni del governo, a livello nazionale, sono stati utilizzati anche altri meccanismi come; l’istruzione pubblica, lo sport e la censura.