Su Gaza City i droni ronzano in continuazione e volano bassi fin dall’alba. Notizie telefoniche c’informano che volano bassi in tutta la Striscia. Non è un buon segno. Oggi è il quarto venerdì della grande marcia del ritorno e i palestinesi hanno promesso molte sorprese per questa quarta giornata, forse i droni sono particolarmente attivi per questo.
In realtà le sorprese degli organizzatori della marcia attingono tutte alla creatività tipica della sfera della nonviolenza. Ma mentre scriviamo Israele ha già fatto il primo martire. Un colpo di precisione ha fatto saltare parte della scatola cranica a un giovane manifestante. Un colpo da killer professionista. Così Ahmed Nabil Akel, un ragazzo di 24 anni, ha smesso di vivere intorno alle 12,30, ora locale, e da giovane scanzonato e sempre pronto al sorriso, come ci viene descritto, si è trasformato nel primo martire del 4° giorno. Dire il primo martire, lo ricordiamo, è diverso dal dire la prima vittima, perché un uomo assassinato è una vittima, ma se questo viene assassinato mentre manifesta per i diritti della sua collettività diventa un martire. Questo ci ricordano sempre i palestinesi e vogliamo riportare il loro pensiero perché spiega bene quel che in occidente sembra difficile capire.
Mentre scriviamo la marcia continua, anche se il giovane Ahmed è stato assassinato e parecchi altri manifestanti sono stati feriti, e intanto, minuto per minuto scopriamo le sorprese preparate dagli organizzatori. Sono sorprese che ricordano quel vecchio sogno che tanti anni fa faceva scrivere sui muri delle università italiane. “l’immaginazione al potere”. Sarebbe stato bello, ma non andò così. E anche qui, mentre vediamo aquiloni colorati, o una pseudo mongolfiera piena di messaggi d’amore che cerca di scavalcare i confini per portare quei messaggi a un detenuto chiuso in galera da una ventina d’anni, o un divertito e divertente servizio di “contro lancio gaz” o i volantini palestinesi che ricalcano ironicamente quelli israeliani invitando i soldati a tornare a casa e a non credere ai loro governanti ed altre trovate simili che ricordano la creatività del movimento italiano del “77, i proiettili e tear gas fanno il loro lavoro ma non fermano le migliaia di persone che con carretti e automobili, moto e furgoncini, vanno a unirsi al “popolo delle tende” che staziona fisso lungo il confine e che ha attrezzato le cinque aree delle manifestazioni con servizi di piccolo ristoro, librerie e luoghi per conferenze e spettacoli che andranno avanti fino al 15 maggio, giorno della Naqba, in cui la grande marcia si concluderà.
Intanto i droni si moltiplicano e seguitano a volare bassi e i proiettili lungo la zona della marcia seguitano a cadere come risposta a una manifestazione pacifica cui partecipano migliaia di famiglie. Quanti feriti ci saranno oggi? colpiti opportunamente dai proiettili per restare invalidi, o intossicati dai gas micidiali che Israele può usare liberamente? Il bilancio lo farà stasera il Ministero della Salute.
Noi sappiamo che le istituzioni internazionali hanno una grande responsabilità, quella di non costringere Israele a rispettare il Diritto internazionale e il Diritto umanitario, unica possibilità per arrivare alla fine dei massacri e fermare l’incremento dell’odio che assedio e occupazione portano con sé.
A tal proposito è di ieri la notizia che il Parlamento europeo ha votato una risoluzione che risulta incredibile fino all’assurdo per chi conosce la situazione dall’interno. Di fatto il Parlamento Europeo ha condannato non Israele, bensì i palestinesi che marciano per chiedere il rispetto dei loro diritti. Lo ha fatto attribuendo al partito al potere nella Striscia di Gaza, cioè Hamas, la colpa di essere l’ispiratore della manifestazione, senza dimenticare, ovviamente, di attribuirgli l’epiteto di terrorista secondo i canoni fedeli alla narrativa israeliana, quella che si serve del potere evocativo di alcune parole dopo avergli costruito intorno un ricco corollario. Vedasi, ad esempio, “sicurezza per Israele”, locuzione capace di giustificare ogni crimine israeliano, o Hamas, nome di un’organizzazione politica cui è subliminalmente connesso l’aggettivo di terrorista anche quando lo si ritiene ispiratore e organizzatore di una grande iniziativa basata sulla nonviolenza.
Ma il Parlamento europeo, nel gioco cerchiobottista che confonde ulteriormente la realtà, dopo aver condannato Hamas e con esso i i palestinesi rei di chiedere il rispetto del Diritto internazionale, ha anche dato uno schiaffetto sulle mani a Israele perché alla richiesta palestinese di rispettare le Risoluzioni Onu ha risposto in modo un po’ troppo duro, causando in sole tre manifestazioni, 32 martiri e quasi 3000 feriti. Se Israele si fosse contenuto nel numero di uccisi e feriti, cosa che forse ora farà, non ci sarebbe stato motivo di rimprovero! Non è gratificante né tanto meno rassicurante vedere che uno degli organi fondamentali del Diritto internazionale si flette in tal modo annichilendo l’essenza stessa del Diritto.
Ma i palestinesi di Gaza non si sconvolgono per questo, e qui sta il significato forte di questa grande marcia. Loro ormai hanno deciso, e lo ripetono spesso, che non hanno più niente da perdere, che è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. Che chi muore in questa impresa passa il testimone a chi resta, ed è questo Israele non riesce a capire e crede ancora di spezzare la resistenza seguitando a violare il diritto universale.
Israele non ha capito che i martiri sono “testimoni” e non tolgono forza alla resistenza ma ne aggiungono. Tanto il governo che il parlamento israeliani pare non abbiano capito che nonostante l’enorme e continuo uso della forza per tacitare il Diritto, questo Stato e i suoi rappresentanti potranno solo restare impuniti per i crimini commessi, ma dovranno vivere nell’incubo di un’ipotetica vendetta.
In ogni casa palestinese c’è la foto di un martire. Un martire per cui non c’è stata giustizia. Questa è la condanna a cui Israele non può sottrarsi e che prima o poi si troverà a dover affrontare.