In questi giorni gli italiani stanno leggendo, ascoltando e ricevendo passivamente tutte le informazioni sugli scontri di Gaza che hanno provocato la morte di 16 palestinesi. La retorica parrebbe suggerire il “siamo alle solite”, dato che “israeliani e palestinesi sono in guerra da sempre” tuttavia Mustafa Barghouti, intervistato da «il manifesto», ha ben chiarito la portata della dimostrazione palestinese del 30 marzo:
«Non è stato solo un giorno di morte e dolore di cui è responsabile esclusivamente Israele. Ci sono due punti molto importanti emersi dalla Grande Marcia del Ritorno. Il primo è che oggi (il 30/03/2018,ndr) abbiamo visto sul terreno una manifestazione concreta dell’unità palestinese. Uomini, donne, ragazzi, bambini hanno partecipato a un’iniziativa che per giorni gli israeliani hanno etichettato come violenta, aggressiva, minacciosa e che invece voleva solo commemorare la Nakba e il Giorno della terra e ribadire che i palestinesi non dimenticheranno mai i loro diritti. L’unica aggressione è arrivata da Israele che ha schierato carri armati, blindati e tiratori scelti contro civili disarmati che manifestavano per i loro diritti e per difendere la loro memoria storica.
Il secondo è che tutte le formazioni politiche palestinesi, incluso Hamas, hanno adottato la resistenza popolare non violenta. Il movimento islamico al di là dei suoi proclami e delle sue manifestazioni di forza, in realtà ora comprende che solo la mobilitazione popolare, non violenta, può raggiungere gli obiettivi che sono di tutti i palestinesi. A cominciare dalla fine dell’assedio di Gaza. Sono sicuro che vedremo sempre di più (nei Territori palestinesi occupati) manifestazioni con migliaia e migliaia di persone».
Ma la stampa italiana, ad eccezione del quotidiano comunista, come ha trattato la vicenda?
Giustificando, apertamente o velatamente, l’«aprite il fuoco» sui civili da parte di Israele.
Il primo articolo che prendiamo in esame è quello di Giordano Stabile (inviato a Beirut) pubblicato su «La Stampa», questo l’inizio del suo articolo, pubblicato e visualizzabile anche qui sul sito del quotidiano torinese:
«Un’onda umana, una fanteria disarmata fatta di donne, bambini, ragazzi, per sfondare il confine e riappropriarsi dei territori perduti, fossero pure pochi metri quadrati e per pochi minuti. La strategia adottata da Hamas ha messo in difficoltà Israele e costretto i suoi militari nella difficile posizione di chi deve sparare sui civili. L’esercito se lo aspettava, perché i preparativi andavano avanti da giorni, ma non era facile trovare contromisure.»
Insomma i militari israeliani sono stati costretti ad aprire il fuoco di fronte alla pacifica dimostrazione popolare di alcune migliaia di palestinesi perché, in realtà, secondo il giornalista Stabile, non era una manifestazione “pacifica” ma si era di fronte alla strategia del “mandare avanti i civili per poi sferrare il contrattacco”.
Un articolo redazionale di «Repubblica.it» pubblicato il 31 marzo, dopo aver riportato il tweet di Benjamin Netanyahu in cui affermava come i propri soldati avessero semplicemente «difeso i confini nazionali», riportava:
«Venerdì migliaia di manifestanti palestinesi, tra i quali anche donne e bambini, erano arrivati sulla frontiera che separa la Striscia di Gaza da Israele in occasione della “marcia del ritorno”, il movimento di protesta – che sarebbe dovuto durare sei settimane – per chiedere il “diritto al ritorno” dei rifugiati palestinesi. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver sparato contro i manifestanti perché obbligato dal lancio di pietre e bombe Molotov sui soldati».
כל הכבוד לחיילינו ששומרים על גבולות המדינה ומאפשרים לאזרחי ישראל לחגוג את החג בשקט. ישראל פועלת בתקיפות ובנחישות כדי להגן על ריבונותה וביטחון אזרחיה.
— Benjamin Netanyahu (@netanyahu) 31 marzo 2018
Significativo anche l’articolo di Davide Frattini, corrispondente da Gerusalemme per il «Corriere della Sera», in parziale controtendenza col resto, il quale, dopo aver riportato che la folla era disarmata e che l’esercito israeliano ha risposto alle tende a 500 metri dal confine fra i due Stati con carri armati, cecchini in punti strategici e droni in grado di sparare lacrimogeni, ha concluso l’articolo così:
«Lo Stato Maggiore è preoccupato che la barriera attorno alla Striscia — commentano gli analisti militari — non sia più impenetrabile. Da sabato scorso piccoli gruppi sono riusciti a infiltrarsi cinque volte, qualcuno solo in cerca di lavoro dall’altra parte. Ieri (prima degli scontri di venerdì ndr) all’alba un contadino è stato ucciso da un colpo sparato da un carrarmato, secondo l’esercito stava cercando di piazzare una carica di esplosivo vicino alle postazioni militari, i palestinesi sostengono che stesse tagliando l’erba nel suo campo».
La barriera attorno alla striscia “non è più impenetrabile” anche se, come riporta il giornalista, è stata oltrepassata solo da un contadino. Tanto è bastato all’esercito israeliano per ucciderlo con un colpo partito da un carro armato. Significativo anche l’accostamento delle due dichiarazioni, dello Stato maggiore e dei palestinesi, l’una istituzionale e l’altra sembra più legata al si-dice-che.
Non commentiamo l’eloquente titolo del «Foglio», quotidiano diretto da Claudio Cerasa, il cui pro-sionismo è noto ai più che titola così: «Tutti lodino i 100 tiratori israeliani schierati sul terrapieno di Gaza».
In sostanza, senza tirare eccessivamente per le lunghe in considerazioni pur legittime, la stampa italiana tanto (apertamente quanto velatamente) preferisce affidarsi e citare fonti israeliane per quel che riguarda il fatto arrivando anche a comprendere gli spari sulla folla inerme: d’altra parte questa dimostrazione «l’aveva organizzata Hamas».