E’ in arrivo il bombardamento “su misura”, naturale prosecuzione dottrinale del nucleare “su misura” recentemente annunciato da Trump nella sua Nuclear posture review.
Il bilancio delle operazioni di bombardamento operate dall’Occidente negli ultimi 25 anni porta alla conclusione che nel 90% dei casi tali operazioni si sono svolte in contesti “permissivi” (senza cioè ricevere un serio contrasto antiaereo) e verso obiettivi “non paganti” (mezzi leggeri, nidi di mitragliatrici, mortai, ecc.).
In sostanza sono stati utilizzati cacciabombardieri supersonici di prima linea pensati per un confronto con potenze militari regolari se non di pari livello tecnologico, con costi in termini di usura ed esercizio decisamente sproporzionati rispetto agli obiettivi ingaggiati (RID, marzo 2018, pag 20-25).
Niente di nuovo rispetto all’uso spropositato della tecnologia bellica nelle varie aggressioni targate NATO/Usa.
Già nel 2003 i generali dell’USAF (United States Air Force) ricevettero una tirata d’orecchie dal GAO (la Corte dei conti statunitense) per il munizionamento così detto “intelligente”, il cui costo più elevato non era giustificato da un reale aumento dell’efficacia “chirurgica”.
Si sta quindi profilando una revisione delle dottrine per mettere in campo una strategia di bombardamento “low cost” e “su misura” che possa risultare più “pagante e razionale” nel quadro della belligeranza permanente rivolta per lo più contro forze guerrigliere in ogni angolo del pianeta.
Come sempre a fare scuola in materia sono gli Stati Uniti, che con il programma OA-X dell’USAF stanno valutando ogni possibilità (industriale) in questo senso. Nell’agosto dello scorso anno, presso la base di Holloman in New Mexico (presenti anche ufficiali sauditi e degli Emirati arabi), ha avuto luogo la prima dimostrazione pratica di “attacco leggero” e ricognizione messa in scena dalle stesse industrie statunitensi che ambiscono ad ottenere gli eventuali contratti di sviluppo e fornitura dei 300 velivoli ipotizzati dal programma.
A livello NATO si è quindi costituito un gruppo di studio che verificherà l’opportunità di creare squadroni multinazionali da impiegare in scenari a bassa intensità, dove i singoli alleati metteranno a disposizione velivoli e/o piloti.
C’è da aspettarsi che il nostro paese non si tiri indietro di fronte all’ennesima iniziativa di marca statunitense, anche perché questo potrebbe rappresentare un ulteriore assist all’industria bellica di bandiera.
Leonardo ha infatti già pronto il suo prodotto di riferimento per la nuova dottrina “low cost”: Si tratta del M-346FA, versione armata dell’addestratore M-346FT, le cui linee di produzione a Venegono (VA) sono oggi in sofferenza per carenza di contratti. Uno sforzo ingegneristico che “… rappresenta la risposta più adatta per soddisfare la più ampia gamma di necessità operative dei clienti…”. Clienti buoni come le monarchie del Golfo o la Turchia, che hanno attivamente contribuito ad incendiare il Medio Oriente.
In una intervista al Sole24ore Alessandro Profumo (a.d Leonardo) lo ammette chiaramente: “… È triste dirlo, ma la tensione internazionale provoca inevitabilmente, sul mercato degli armamenti e della sicurezza, un aumento della domanda. In questi contesti, la natura italiana del nostro gruppo è vissuta come qualcosa di positivo (…) La presidenza del Consiglio, il Ministero della Difesa e quello degli Esteri sono un ottimo supporto. In tutto questo, però, c’è una lacuna legislativa: manca la norma sul Government to Government, che non è stata approvata dalla legislatura appena scaduta e che noi auspichiamo arrivi presto a traguardo perché ormai molti vogliono negoziare non con Leonardo, ma con il governo italiano…”.
In fondo Profumo chiede solo un po’ di chiarezza: si tratterebbe di sancire per legge ciò che già da tempo risulta una consuetudine, ossia che la politica estera si fa con le armi, sia usandole che vendendole, magari “su misura”.