Antonella Freggiaro, dell’associazione Abarekà, è stata di recente in Mali. Parliamo con lei della situazione del paese e delle attività che sta svolgendo in Italia a favore di migranti e rifugiati.
In che situazione si trova attualmente il Mali?
Purtroppo la guerra in Mali (dimenticata dai media e di cui pochi si ricordano) continua e sta coinvolgendo alcuni paesi confinanti (in particolare il Burkina Faso e il Niger). La violenza, i cambiamenti climatici, la crescita della popolazione giovanile, la mancanza di posti di lavoro e l’urbanizzazione incontrollata stanno provocando un aumento della migrazione e del traffico di esseri umani. Nel paese prosegue l’operazione militare a conduzione francese denominata Barkhane. Succeduta a Serval, operazione del 2013, ha lo scopo di contrastare l’ascesa delle milizie islamiche nell’Azawad, lo stato tuareg autoproclamatosi indipendente dal Mali nell’aprile 2012. L’operazione si svolge con la compartecipazione di Burkina Faso, Ciad, Niger, Mauritania ed è stata potenziata nel marzo 2017, aumentando quindi la presenza dell’esercito francese e delle forze cosiddette “di pace” sul territorio.
Il presidente Ibrahim Boubacar Keita è impegnato nel tentativo di raggiungere la pace con i gruppi armati di matrice araba e tuareg del Coordinamento dei movimenti dell’Azawad (Cma). Gli accordi dovranno essere sottoposti a referendum costituzionale, in un clima però molto complesso. Le popolazioni locali restano sotto il controllo del Cma, mentre da Gao a Timbuctù a Kidal si moltiplicano le incursioni dei gruppi terroristici, che approfittano dell’assenza dello Stato.
Nell’ultimo periodo le condizioni di sicurezza si sono deteriorate e gli attacchi alle forze di difesa e sicurezza del Mali si sono intensificati.
Sembra che il Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani abbia continuato ad aumentare la sua capacità operativa e ad ampliare l’area in cui opera, in particolare nelle regioni di Mopti e Ségou. C’è stato un aumento degli attacchi mortali tra il 2016 e il 2017. Mentre il numero di attacchi improvvisati con dispositivi esplosivi è rimasto relativamente stabile, con 130 attacchi registrati nel 2017 contro 139 nel 2016, il numero di vittime è aumentato significativamente, con 141 morti e 309 feriti nel 2017, rispetto ai 70 morti e ai 184 feriti nel 2016 .
Nel marzo 2018 l’insicurezza, l’assenza delle autorità statali e l’intimidazione degli insegnanti da parte di gruppi armati nelle regioni centrali e settentrionali del paese hanno costretto 715 scuole a chiudere, privando dell’istruzione più di 214.000 studenti. Le regioni colpite dalla crisi includono Gao, Kidal, Ségou, Mopti e Timbuktu. Nel febbraio 2018 440 scuole sono state chiuse nella sola regione di Mopti. Un dirigente scolastico ha dichiarato ad Amnesty International: “Sei membri di un gruppo armato sono venuti a piedi nel villaggio e hanno chiesto al mio vice dov’ero, poi sono andati a scuola a saccheggiare il mio ufficio, i miei libri e tutto il materiale didattico. Prima di andarsene hanno detto che non vogliono scuole o insegnanti nel villaggio, così abbiamo fatto le valigie e siamo partiti.”
Prima parlavi di un aumento della migrazione e del traffico di esseri umani. Puoi spiegarti meglio?
Nonostante i recenti programmi di sensibilizzazione delle agenzie di cooperazione che operano in Africa occidentale, per esempio nella regione di Kayes, da cui proviene oltre l’80 % dei maliani attualmente in Europa, emigrare resta uno status symbol. Alcuni antropologi sostengono perfino che in zone rurali punto di partenza di migliaia di africani emigrare abbia sostituito i tradizionali riti d’iniziazione per sancire il passaggio dalla pubertà all’età adulta. Un dinamismo generazionale frustrato dall’immobilismo politico di regimi democratici solo di facciata e da una rapace corruzione che permea ogni aspetto della vita pubblica e privata. Dal poliziotto che chiede mille franchi cfa (1,5 euro) al tassista fermato senza documenti in regola, al politico che chiede milioni a un parente per trovargli un posto nella pubblica amministrazione.
In un paese in cui non funziona niente – ospedali, scuole, banche – i ‘ricchi’ vanno a curarsi nelle migliori cliniche occidentali, hanno conti segreti nei paradisi fiscali, mandano i figli a studiare in costosi campus americani e le mogli a fare shopping nei negozi più chic di Parigi; ai giovani non resta che tentare la difficile strada dell’immigrazione, pur con tutti i rischi che questa comporta.
Durante il mio recente soggiorno in Mali ho conosciuto l’”Association des expulses du Mali”, un’associazione creata nel 1996 a seguito delle prime espulsioni di migranti dall’Europa, dai paesi arabi e dall’Angola. Secondo il presidente, Ousmane Diarra, molti dei 1.700 migranti rimpatriati volontariamente dalla Libia nel primo trimestre del 2018 sono in condizioni di angoscia e depressione.
Cosa succede ai migranti una volta tornati a casa?
Dopo un esilio fallito in Europa, (o nella stessa Africa) devono affrontare la dura realtà del ritorno, tra speranze deluse, senso di vergogna e fallimento, possibili ritorsioni e una vita da ricostruire. “Le persone che arrivano sono a volte prostrate e restano in silenzio” raccontano i responsabili del supporto sociale per l’Associazione maliana (AME). Altri soffrono di lesioni lasciate dai colpi ricevuti durante la loro espulsione . Il team di AME agisce con tatto, pazienza e umanità. Deve identificare i nuovi arrivati e creare un vincolo di fiducia, dando modo alla famiglia o al consolato di organizzare meglio il loro ritorno. “Dal momento che noi stessi siamo ex migranti, questo facilita i contatti”, affermano i membri dell’associazione. “I giovani non osano tornare dalle loro famiglie a mani vuote, dopo che hanno raccolto una fortuna per finanziare il loro viaggio. Dovranno così fare una scelta dolorosa tra affrontare questo difficile ritorno nel paese o riprendere il sentiero molto incerto della migrazione. Se vogliono andarsene, sono liberi di farlo. In ogni caso, sono loro a decidere. Alla fine, molti abbandonano l’avventura dopo aver valutato la pericolosità del viaggio e ricordato le violenze subite in Libia o in Algeria.”
In Italia partecipi alla rete “Milano senza frontiere” e svolgi attività di appoggio e solidarietà verso migranti e rifugiati…
Sì, la mia associazione, Abarekà e un’altra realtà umanista, Convergenza delle Culture, fanno parte di questa rete che porta avanti attività di denuncia e solidarietà sul tema dei migranti e dei rifugiati. Ogni primo giovedì del mese, per esempio, ci troviamo in piazza Scala, davanti alla sede del Comune di Milano, per la “Marcia dei nuovi desparecidos” per ricordare e le persone morte nel Mediterraneo mentre tentavano la traversata e denunciare la loro silenziosa scomparsa. Siamo attivi anche nella campagna Missing at the Border, che sta coinvolgendo le famiglie dei migranti scomparsi affinché possano creare una rete e portare alla luce le storie di molti ragazzi dimenticati nelle acque del Mediterraneo.
Di recente hai anche seguito un corso per diventare tutore volontario di minori stranieri non accompagnati. Puoi spiegarci meglio di cosa si tratta?
Si tratta di un corso tenuto su base regionale per aiutare in modo concreto i minori non accompagnati presenti sul territorio italiano. Essere tutore di un minore straniero non accompagnato significa offrirgli una figura di riferimento e sostenerlo nel suo percorso in Italia: è un aiuto molto importante per un ragazzo o una ragazza che ha affrontato la migrazione senza i genitori o altre figure responsabili per la sua assistenza, un contributo concreto alla sua protezione nei momenti più complessi che dovrà affrontare.
I minori non accompagnati sono soprattutto adolescenti, provengono da paesi esterni all’Unione Europea e si trovano in Italia da soli, senza l’assistenza dei genitori o di altri adulti responsabili per loro. Nonostante il coraggio che hanno avuto nell’affrontare la migrazione, la loro giovane età e gli ostacoli che potranno incontrare li mettono in una condizione di grande bisogno e vulnerabilità. Tra le necessità essenziali di questi ragazzi c’è la tutela legale, cioè la presenza di una persona che abbia la responsabilità di curare i loro interessi e il loro benessere, di garantire l’ascolto del loro punto di vista e di rappresentarli esternamente per gli atti con valore legale che, in quanto minorenni, non possono compiere da soli.
Venire incontro a questo bisogno significa garantire a un adolescente in difficoltà una figura di riferimento, farlo sentire meno solo nelle procedure che dovrà affrontare, proteggerlo e rafforzarlo nelle decisioni che dovrà prendere e nel percorso di integrazione che compirà in Italia. È un ruolo che sinora hanno esercitato prevalentemente enti locali e avvocati per grandi gruppi di minori. Ma se sei giovanissimo e solo in un paese straniero, avere una persona che è il tuo tutore esclusivo per scelta volontaria, che ti chiama per nome e che puoi contattare rapidamente in caso di bisogno fa davvero la differenza.
Personalmente ho intrapreso questo percorso perché lo ritengo un dovere morale in un momento così difficile ed oscuro nella storia del nostro paese e dell’intera Europa. Credo che molte altre persone possano affiancarmi in questo percorso. Presentare la domanda è semplice: le modalità sono esposte negli avvisi pubblici emanati su base regionale dai Garanti regionali per l’infanzia e l’adolescenza e non prevedono formalità complesse.
Per maggiori informazioni sui bandi in uscita e sulla possibilità di essere iscritti negli elenchi già esistenti consiglio di far riferimento ai contatti dei singoli Garanti regionali.