«Conservare, restaurare, preservare», questi i risultati della ricerca illustrati da Alessia Glielmi, docente di Archivistica presso l’Università di Tor Vergata. Finalità proprie del progetto sulle Fosse Ardeatine: un lavoro di ricerca, digitalizzazione e analisi di una vicenda su cui ancora c’è da fare luce.
Il progetto è stato finanziato dall’Università di Tor Vergata con il bando di ricerca ‘Consolidate the Foundations 2015’ (team di ricerca: Marielisa Rossi, coordinatrice; Alessia Glielmi, Gianna Del Bono, il Magnifico Rettore Giuseppe Novelli e due laureande in Archivistica Sara Vannozzi e Doriana Serafini che si sono occupate della digitalizzazione di documenti, oggetti e della implementazione di sezioni della banca dati); istituzioni partner: il Museo storico della Liberazione, l’Ufficio storico della Polizia di Stato e l’ANFIM (Associazione nazionale famiglie italiane martiri), «soggetti presso cui sono conservate le fonti riconducibili alle vittime della strage», come recita il comunicato stampa prima della presentazione della giornata di ieri presso Palazzo Sant’Andrea. Hanno offerto la propria collaborazione scientifica al progetto la Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio e l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD).
La Banca Dati
La piattaforma, realizzata in opensource da Space SPA su indicazioni delle docenti che hanno portato avanti la ricerca, sarà ospitata sui server della seconda università di Roma e vede, per la prima volta, l’unione fra documenti e oggetti appartenenti alle 335 vittime.
Per realizzare la banca dati, nella sola prima fase del progetto, sono stati digitalizzati 7.980 documenti e 476 oggetti appartenenti alle vittime.
«La prima fase – ha dichiarato Marielisa Rossi, docente di Bibliografia presso l’Università di Tor Vergata – è iniziata nel giugno 2016 e si è conclusa nel dicembre 2017: siamo in lavorazione della seconda fase» che andrà a valorizzare, ancor di più, il lavoro svolto finora così come le ragioni iniziali dell’imponente riunione di documenti prima sparsi fra diversi enti, associazioni e privati.
«ViBiA è un progetto aperto: siamo riusciti a realizzare non tanto lo “spostamento” dei documenti cartacei sulla piattaforma digitale ma abbiamo fatto comunicare soggetti differenti». Così come anche a “far parlare” le fonti: «contemporanee e successive ai fatti, conservate in Italia e all’estero, in tedesco e in italiano». «Le ragioni che hanno fatto nascere e portato avanti questo progetto – ha spiegato Rossi – sono riscontrabili dalle richieste, sempre più frequenti, dei familiari delle vittime e dalle associazioni (come l’ANFIM) che desiderano ottenere notizie attendibili».
Il “Modello ViBiA” «vorremmo fosse prototipale per tutte le stragi» – ha dichiarato la dottoressa Glielmi – in ambito di analisi, documentazione e consultazione, dato che, grazie ad esso, hanno iniziato a parlarsi diverse istituzioni e associazioni che possedevano documentazione mai messa in condivisione, com’è accaduto per l’Archivio Giuseppe Dosi, di cui ha parlato la dottoressa Glielmi relativamente alla vicenda del graduato e alla documentazione dell’archivio.
«L’Archivio Dosi – ha relazionato Glielmi – ha donato al Museo Storico della Liberazione i documenti dell’Aussenkommando che Dosi aveva nascosto ad Arcinazzo», a conferma del ruolo dell’Ateneo romano, ponte fra istituzioni e soggetti, come ha ricordato anche Rosina Stame (ANFIM) che ha parlato di «progetto rivolto ad acclarare l’autenticità dei fatti della vicenda delle Ardeatine».
La piattaforma ViBiA, che i presenti al Convegno di ieri hanno potuto osservare in anteprima, sarà strutturata con una homepage in cui sono visibili (e cliccabili) tutte e 335 le vittime delle Ardeatine, ad ognuna delle quali è associata una foto e una scheda comprensiva di documentazione e di oggetti loro appartenenti.