Pirrone non è un militante di Casa Pound e Lega Nord, come gli altri due “pazzi”, ma non è un caso che abbia ucciso un uomo con la pelle nera, spinto da quel razzismo inconscio che guida le azioni di chi ha la pelle più chiara e per questo si sente superiore. È il razzismo che contribuisce a costruire il “noi” e il “loro” fin da quando siamo piccoli, che rende il bianco un “non colore”, e per questo universale, e gli altri sempre un po’ più colorati, diversi.
Non è un caso che l’omicidio sia avvenuto in questo contesto pubblico e politico, dove il razzismo urlato e rivendicato consente di raccogliere voti e viene usato con successo, a tutti i livelli, per normare le relazioni sociali e mantenere gerarchie di potere e varie forme di privilegio (a Firenze, per esempio, è evidente lo sfruttamento del lavoro nero e precario dei migranti da parte dell’industria turistica).
Proviamo a immaginare lo scenario se la vittima fosse stata una giovane e un giovane fiorentino: notizia sparata su tutti i quotidiani, ressa tra i giornalisti per filmare le lacrime di qualche parente, il sindaco in prima fila per esprimere la vicinanza di tutta la città. Invece, il 5 marzo le prime dichiarazioni del sindaco Nardella sono arrivate nel pomeriggio (l’omicidio è avvenuto intorno alle 12) per stigmatizzare la rottura di alcune fioriere durante un corteo di cittadini senegalesi e italiani addolorati e arrabbiati per l’ennesimo atto di violenza.
Eccolo qua il decoro urbano che tanto piace ai sindaci di tutti gli schieramenti: le fioriere meritano più attenzione di una vita umana, e per favore non venite a disturbarci nel salotto buono, non vogliamo che ci colpiscano gli schizzi del vostro sangue! Le dichiarazioni di Nardella sono un esempio perfetto dell’ideologia classista e razzista che sostiene la politica fiorentina e il patto tra politica e parte della cittadinanza. Confermano anche che, se non hai la pelle bianca, non c’è differenza tra le politiche e l’ordine simbolico che guidano PD e Lega nord (basti ricordare gli accordi di Minniti con la Libia per trattenere i migranti).
Ma noi non ci stiamo, noi vogliamo rimanere umani e chiediamo politiche pubbliche che ridistribuiscano le risorse e non facciano distinzioni in base alla provenienza e al colore della pelle. Sabato 10 marzo saremo in piazza a fianco della comunità senegalese e ai tanti antirazzisti che si contrappongono alle politiche repressive in atto nelle nostre città.
Enrica Capussotti